Gli angoli della rinascita
Finalmente il tempo si è fermato ancora.
Non riesco a scrivere semplicemente perchè abbia
deciso di farlo. Ho una maniera tutta mia di scrivere il blog. Per essere
totalmente autentico, devo poter scrivere solo in particolari momenti. Deve
crearsi una speciale magia emotiva. Non ci sono regole, solamente istinti.
Ieri Francesco Totti ha giocato la sua ultima
partita. Dopo 28 anni con una sola maglia, ha dovuto arrendersi al tempo.
Vedere quelle immagini mi ha aperto il cuore. Ieri allo stadio Olimpico di Roma 80.000 persone
hanno strappato il loro cuore per consegnarlo alla storia delle emozioni. Non ho mai visto nulla di cosi profondo nel calcio.
Ieri si mangiava, respirava, viveva un’amore autentico. Ecco perchè sono fiero di essere romano. Certe
cose vanno oltre. E oltre è dove solo alcuni possono vedere.
Tutto ciò ha ovvimante aperto la famosa finestra
magica. Sono nuovamnete pronto a scrivere.
Quello di cui sto per parlare è talmente
importante che faccio fatica a poterlo veramente raccontare.
Sto per parlare della mia rinascita.
Sono un “ometto” ormai, e quest’esperienza
all’estero mi ha messo di fronte ai miei limiti. Ci sono dei limiti che puoi
vincere, ci sono dei limiti che puoi gestire, ma ci sono anche dei limiti a cui
devi arrenderti.
Ho scoperto di dovermi arrendere all’idea che non
possa vivere la mia identità di uomo senza un
lavoro che mi permetta di sognare.
Senza prospettiva un disegno importante non potrà
essere mai completo...
Lavoravo al “Troppa”, un ristorante italiano in
Amsterdam. Come una mamma premurosa, quest’ esperienza si stava prendendo cura
di me.
In quel periodo ho imparato moltissime cose, anche
sul mio nuovo me stesso. Avevo raggiunto un punto meraviglioso. Tutto il
personale era italiano, il cibo, le abitudini...qualche volta persino i
clienti... Stavo vivendo il mio piccolo mondo parallelo. Ero
in Olanda, ma per certi versi è come se fossi stato ancora nella mia Italia. Tutto era diventato “comodo”, rassicurante. Caldo.
I rapporti con i miei colleghi e con i titolari
erano diventati talmente amichevoli che non riuscivo più a discernere dovere da
piacere.
Dopo mesi di difficoltà emotive, dopo mesi di
frustrazioni di ogni genere, avevo trovato il mio nuovo mondo. Ero felice e mi
sentivo protetto da un contesto ancora troppo nuovo per me. Fuori, nella vita
vera, infatti, tutti parlavano un’altra lingua, avevano altre usanze e
probabilmente non si erano neanche accorti di me.
Ero nella mia “hakuna matata” zone se vogliamo
scomodare W.Disney. Anche Collodi potrebbe aiutarmi in questo strano paragone.
Il "Paese dei balocchi" di Pinocchio calza a pennello.
Ad un certo punto però il destino, carico di
responsabilità e sfide, mi venne ancora cercare.
Si ricordò che avevo iniziato una nuova vita in
un’altra nazione e che sarebbe stato il momento di affrontarla.
Grazie ad una serie di coincidenze incredibili, mi
ritrovai a sostenere un colloquio di lavoro per essere assunto nella più grande
catena alberghiera del mondo. In Hilton.
Si trattava di lasciare la mia “confort zone” cosi
difficilemnte conquistata, per sbattere la faccia contro un muro di cemento
armato. Olandese.
Ovviamente, entrando in una realtà cosi grande e
prestigiosa, le prospettive di crescita sarebbero state imparagonabili al mio
amato “Troppa”.
Figlie di queste considerazioni mi vennero a
svegliare dal torpore del mio paese dei balocchi.
Era un’occasione per capire se da burattino, avrei
potuto trasformarmi in uomo. Al posto della fatina turchese trovai il management
Hilton Garden Inn di Leiden a chiedermelo...
Mi preparai all’intervista. Imparai nuovi termini
in inglese, provai discorsi “ad effetto” davanti a quello specchio che sembrava
prendermi ogni volta per il culo...
E poi, come al solito, appena iniziato il
colloquio tutto rimase chiuso a chiave nei cassetti della mia razionalità.
Condussi, o mi feci condurre, in quella che sarebbe stata l’intervista più
importante della mia nuova vita, senza freni ne calcoli. Nuovamente nudo come
un bimbo durante il bagnetto.
Forse è proprio quel mio essere sincero, diretto e
“vero” che mi fece assumere.
Mi apprestavo ad entrare in Hilton senza sapere la
lingua olandese, con un inglese ancora basico e senza un appropriato skill per
un Hotel cosi prestigioso.
Nel momento in cui decisi di accettare, tutti i
film di Rocky visti e rivisti (e rivisti...) si materializzarono tra le pieghe
delle mie ambizioni. Sacrificio, lotta, amore, onore.
Accettai.
E mi feci male.
Fui catapultato nel mondo reale. Mi sentii come
Neo in “Matrix” quando decise di prendere la pillola rossa. Un “welcome in the
real word” venne a svegliare anche me.
Mi trovai a gestire una quantità di nuove
informazioni enorme. Non conoscevo nulla di Hotel, non conoscevo nulla di
cucina internazionale, di vini, di liquori, di birre...
Non conoscevo i miei colleghi ovvimanete e spesso
persino i loro nomi “olandesi” scivolavano nella mia mente come pioggia in
grondaia.
Investii ogni minuto del mio tempo libero in
preparazione. Di ogni tipo. Google divenne il mio miglior amico.
Ancora ricordo ogni tipo di sensazione. Mi sentivo
inadeguato, impaurito, incompreso.
Decisi di concentrare tutto questo in sana e
cazzutissima rabbia. Avevo una sfida da vincere e avrei venduto cara la pelle.
Visto che non avrei potuto competere sullo stesso
piano dei miei colleghi già completamente integrati e preparati, decisi
semplicemente di non farlo. Decisi di essere me stesso, con i miei limiti ben esposti!
Testa bassa ad imparare qualsiasi cosa e tanta
tanta umiltà...
I giorni si facevano vivere uno dopo l’altro e
pian piano mi resi conto di avere un dono. Riuscivo ad empatizzare con le
persone. Clienti e colleghi. Anche senza parlare la loro lingua, anche senza un
inglese perfetto, riuscivo a capire, anzi, a “sentire” le persone e a
comportarmi di conseguenza. Il segreto è che non c’è il segreto. Sono
semplicmente cosi! Non c’è differenza per me tra colleghi e clienti, tra amici
e parenti, tra figli e genitori. Io mi comporto sempre e comunque nel medesimo
modo. Tendo a preoccuparmi del benessere altrui e, da sempre, dare mi piace più
che ricevere.
Questa “roba qui” è apprezzata e mi ha permesso
di iniziare a ricostruirmi.
Mi sono ritrovato tra le mani un “giocattolo” che
funzionava e un gioco a cui mi piaceva
giocare...
Non posso fare a meno di ricordare la prima
“vittoria” respirata in questa nuova atmosfera...
Appena entrato, era in essere un concorso chiamato
“catch me” rivolto a dipendenti e clienti. Sostanzialmente, si invitava tutti a
scrivere e postare considerazioni personali su chi avesse reso, con il proprio
tocco personale, migliore qualsiasi tipo di esperienza in Hotel.
Nelle prime settimane, me ne stavo in mensa, in un
angolino, a guardare i “catch me” ottenuti dai miei colleghi, ben esposti in bacheca. Sognavo di ottenerne
almeno uno. Sognavo che almeno un collega si accorgesse dei miei sforzi
titanici...
E’ strano come in un angolino si possa guadagnare
nuovi punti di vista. Me ne stavo rannicchiato in disparte, tra le pieghe delle
mie incertezze a leccarmi le ferite e a convincermi che dando tutto me stesso,
prima o poi, qualcuno mi avrebbe portato via dal quel maledetto cantuccio.
Ci sarebbero volute 11 settimane. Diventai il
miglior dipendente del mese. Presi “catch me” da clienti e colleghi. Molti.
Fui sorpreso, felice, immensamente felice! Ero
sulla strada giusta.
Non era vero che non mi vedevano. Il fatto che mi
sentissi in un angolo non significava che in realtà lo fossi.
Cominciarono ad arrivare conferme su conferme. Mi
fu proposto di diventare referente per alcuni progetti, sono stato votato come
secondo miglio dipendente Hilton Garden Inn dell’anno e candidato tra i primi
1000 dipendenti (su 15000) nel mondo Hilton!
Ho cominciato ad avere sempre più fiducia in me stesso e i progetti sono diventati sempre di più, e sempre più impegnativi.
La sfida era per me molto importante. Battaglia
dopo battaglia, stavo vincendo la mia guerra...
E’ passato un anno dal mio primo giorno in Hilton
e se guardo quanto sono cresciuto, da tutti i punti di vista, non posso che
essere orgoglioso di me e di chi ha creduto in me.
A questo punto ho raggiunto nuovamente la mia “confort
zone”. E’ quindi ora di prepararsi alla prossima sfida.
Mi sono prefisso di diventare “grande”. Per farlo
ho ancora molto da studiare, lingue da imparare, skill da acquisire.
Quello che mi auguro e’ di ritrovarmi tra un po’
nelle pagine del mio blog, magari a guardare con tenerezza quel giovane uomo
coraggioso e fortunato che sono oggi, dall’alto dell’ennesima sfida portata a
casa...
Non so dove mi porterà il destino. Non ho ancora
capito se sia lui a guidare me o io a guidare lui, ma non importa. Qualsiasi
favola mi attenda, anche nei suoi lati oscuri, mi troverà sempre pronto.
So dove si trovano gli angoli bui, e conosco la
maniera di uscirne.
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