lunedì 18 settembre 2023

IL CASSETTO

" IL CASSETTO"



Per circa un mese avevo diretto un’orchestra fantastica, tanta melodia, niente assoli. Una sorta di "uno per tutti e tutti per uno" dei quattro moschettieri, ma con il furgone al posto del cavallo, berrettini blu al posto di pennacchi e con modi decisamente meno regali:-)

La musica suonata arrivo' a tante orecchie e chi doveva ascoltare certe note, lo fece... Non me ne resi conto subito tuttavia. I due referenti "primari" ritornarono dai loro infortuni e io finalmente ritornai nella mia confort-zone.

Come un gatto bagnato dopo un temporale ero finito in un angolo ad usciugarmi il pelo (nel senso figurato :-)) cercando un po' di calore qua e là. Ero stanco, ma orgoglioso. Pensavo ai miei genitori. Sarebbero stati fieri di me. Immaginavo lo sguardo di papa' accogliermi ad ogni giornata "portata a casa". Fantasticavo di poter raccontare tutto questo a mia madre.

Lei, la ragione di tutto ciò che sono.

Bramavo una nuova normalità' fatta delle solite chiacchierate con mamma alla fine della giornata, dei soliti discorsi, delle solite battute, delle solite raccomandazioni.

Pensavo che prima di tutto questo terremoto, ero felice e non lo sapevo.

Poi arrivo' il 17 giugno. Erano le 5 del mattino. Il Motorola G7 bianco suono' illuminando la stanza di blu. Dall'altra parte della luce blu c'era un infermiere assonnato, almeno quanto me. Mi disse semplicemente che papa' era morto. Per lui fu una telefonata. Per me fu la telefonata. Chiamai mio fratello. Ricordo di essere stato forse più' ruvido dell'infermiere."Claudio, papa' è morto". 

Parlammo silenzi.

Ero confuso, ero ferito. Fu in quell'occasione che sentii veramente di avere un fratello. Sentii il senso di avere proprio mio fratello. Lui, esattamente come il suo percorso di vita me lo aveva offerto. In quella fase della nostra vita aver trovato Claudio con un certo tipo di vissuto e con un certo tipo di visione, mi salvo' dal perdermi.

È strano e non è giusto, ma condividere quel dolore mi fece sentire meglio. La parola magica fu "insieme". Insieme provammo a far diventare razionale ciò che razionale non voleva essere. Ragionammo e andò' un po' meglio. Immaginammo papa' libero di vivere nuovamente. In cuor nostro sapevamo che era quello che papa' stesso desiderava e, in fondo, anche noi.

Mi venne in mente il suo cassetto delle meraviglie. Era nel suo negozio in via Luigi Rizzo 103. Era sotto a quel banco di lavoro in legno consumato da tempo e preoccupazioni. In quel cassetto teneva qualsiasi cosa di recupero potesse servire o non servire.

 Viti, dadi, bulloni, rondelle e ferraglia: versi di poeta artigiano; racconti ancora da scrivere per fantasie acerbe di bambini. Ero bimbo infatti quando aprivo quel cassetto e costruivo dal nulla storie, casette e improbabili accrocchi luccicanti. Adoravo quel cassetto. Lo amava anche Claudio e anche i miei figli non erano rimasti immuni a quel fascino in bianco e nero. Pensavo che ovunque fosse stato in quel momento, papa', quel cassetto, lo avrebbe avuto con lui. 

Ricordo di averlo visto in videocall il giorno prima. Le precauzioni per il contenimento del Covid non mi consentivano altro. Era in ospedale in seguito ad una caduta in casa. Aveva la barba lunga, bianca come nuvola e degli occhi dolci dolci. Non era lucido, ma quella volta notai in quegli occhi qualcosa di diverso. Mi mando' due baci accompagnandoli con la mano. E’ strano, ma in qualche modo e’ come se entrambi avessimo capito che quelli sarebbero stati gli ultimi baci che ci saremmo scambiati. Non c’e’ nulla di più’ vero di qualcosa che non riesci a spiegare... 

Intanto mamma passava da una struttura ospedaliera all’altra ed ogni giorno accusava qualche handicap in più’. Stava pian piano perdendo pezzettini di se stessa. Giorno dopo giorno mi resi conto che mia madre era morta quel maledetto 15 marzo. Era rimasto amore incondizionato e dolore. Retaggi e sensi di colpa danzavano insieme a scheletri in armadi che sarebbero dovuti rimanere chiusi.

È come se il destino stava giocando a carte con me e io non stavo vincendo. Avevo perso papa' e stavo vedendo scivolare via mamma. Ricordo la terribile sensazione d'impotenza. Ancora è qui con me, latente come il virus della varicella...subdola come un tradimento non confessato. 

Tenevo ancora duro, ma stavo barcollando come Sterling al primo gancio di Tyson. Sarebbe bastato un altro colpo bene assestato per chiudere il conto. Per fortuna non arrivo'. Almeno non in quel momento. Ad arrivare fu invece una telefonata inaspettata. Ancora una volta una telefonata cambio' le carte in tavola. La voce di Alessandro rispose al mio romano "pronto frate' che voi?" Aveva toni allegri e sentori di sfida. Sembrava un buon Chianti: corposo all'inizio, gentile e fruttato subito dopo. Alessandro, Il mio migliore amico. Alessandro, l'amico che quella volta alle quattro di mattina in discoteca rischio' di prendere le botte al posto mio. Alessandro, quello che tutte le milioni di volte che mi sono lasciato con Federica era li a sopportare deliri e follie. Alessandro quello dei 1000 "si" detti e dei "no" neanche pensati. Alessandro, quello che sul cellulare ho salvato come "Ale Frate'".

"Ale Frate'" mi fece una proposta lavorativa pazzesca…”. Mi offri' la possibilità’ di lavorare a Milano come referente primario di un servizio top delivery per la società' in cui lavorava lui. Mi proposero di avere in gestione una squadra tutta mia, formata da me e cresciuta secondo le mie idee. Insomma…carta bianca.


Wow, che fare?, Sapevo di avere bisogno della mia confort-zone, di avere l’anima squarciata, il cuore arido e un morale tutto da rattoppare, ma come si fa a non andare al tavolo da gioco sapendo di avere le carte giuste per vincere il banco? Presi le poche fiches rimaste, alzai lo sguardo e pronuncia due parole in inglese: "All-in".

Azione. Reazione: Il primo febbraio venne a prendermi! Aveva uno strano accento Milanese con sfumature romane, sembrava Boldi nei cinepanettoni… Quello fu Il mio primo giorno da referente unico, in un avventura tutta nuova. Ero a Milano e avrei lavorato affianco al mio migliore amico!
Ricordo un giorno di tanti anni fa. Io e "Ale frate'" tornavamo a piedi da scuola a casa. Pioveva, io avevo le buste ai piedi per non bagnarmi, lui neanche l'ombrello. Diceva che "era solo acqua" e che non gli sarebbe servito nessun accorgimento per non bagnarsi. Ricordo di aver riso della nostra diversità', ma ricordo di aver pensato che insieme avessimo potuto essere complementari. A distanza di anni, quella mia congettura si dimostro' attuale. Io ed "Ale frate'", due facce della stessa moneta, pronti a giocarcela insieme... La sfida che mi aspettava era enorme. Lo scopo era quello di dimostrare in maniera definitiva e assoluta che un altro modo d'intendere la leadership era possibile! Una leadership circolare e non piramidale, dove il leader è al centro del team e non al di sopra di esso, dove il leader si prende cura della sua squadra, la tutela, la protegge e la motiva. Un leader soldato. Un Soldato In trincea. 

Formai la mia squadra, puntando sulla qualità' delle persone e non necessariamente sul loro skill. Formare persone in gamba mi permise ad avere lavoratori in gamba. Alla fine di un certo tipo di percorso, l'investimento umano porto' in dote un team di qualità'. Qualità' professionali e, soprattutto, qualità' umane. Il supporto di Alessandro fu come un mantello. Mi fece sentire con le spalle coperte. Sapevo che potevo contare su di lui sempre e comunque. Come per l'esame di terza media. Ricordo che eravamo impegnati in un progetto comune sull'energia idroelettrica. Insieme in cucina di casa mia ad armeggiare su di un cartellone sempre troppo bianco. L'improbabile musica di "Radio Shanuar" in sottofondo, i mondiali Italia 90 alle porte e un esame a farci sentire martiri o eroi.

Anche in quell'occasione, mi sentii libero di osare, sicuro di avere un mantello a proteggermi le spalle. A Milano osai. Il tempo mi diede pian piano ragione! Passammo da un 82% di consegne effettuate con successo ad oltre il 99%. Ancora ricordo la sensazione di camminare a testa alta tra gli sguardi "degli altri". Eravamo magnifici e affamati. Per gestire questo tipo di leadership ero stato risucchiato nel poggetto in maniera assoluta. Dovevo essere uno psicologo, un amico, delle volte persino un padre per i miei ragazzi. Sapevo che potevo costruire tutto questo e averne avuto la conferma mi porto' esattamente dove volevo essere: tre metri sopra le teste di tutte le persone che continuavano a dire che non sarei mai stato un buon leader perché' ero troppo "poco stronzo". La partita con il fato si stava mettendo bene. Avevo molte fiches e buone carte da poter usare.

Il pugile suonato non ero più' io.

Mi capita spesso di voltarmi e pensare a come possa aver fatto a gestire un periodo cosi' difficile. Poi penso al cassetto di mio padre. È li che devo aver trovato qualcosa che probabilmente ho conservato senza un perché' e che ho usato per resistere. Per diventare uomo. 

Mi piace pensare che non sia stato un caso. Mi piace pensare che papa' in quel cassetto, certe cose, ce le abbia messe di proposito.


domenica 22 gennaio 2023

LA TEMPESTA PERFETTA



 LA TEMPESTA PERFETTA



Non sai come e quando ti venga a cercare, ma prima o poi succede. Poco importa se abbia le sembianze della Dea bendata o sia avvolta da mantello di notte senza stelle. Certi appuntamenti non li hai presi te; nascono da qualche parte e da te vengono a morire.

Nonna Lucia mi diceva di cambiarmi le mutande ogni volta che uscivo. Diceva che non si sa mai cosa poteva succedere e che, se fossi andato a finire in ospedale, comunque avrei fatto una bella figura con delle mutande pulite! Fa ridere ‘sta roba, ma la morale e’ che non si sa mai che ti possa succedere… E’ importante farsi trovare pronti e… puliti 😅

Il percorso da vice-referente “diverso” stava prendendo forma. Temevo che essere gentile, garbato e disponibile poteva essere tradotto in debolezza, ma erravo. Stavo sottovalutando il cuore di coloro che avevo accanto. Anche le persone più “ruvide” si lasciarono sciogliere come neve al sole. Raggi di luce, rispetto ed educazione pervasero le loro gelide corazze perlopiù difensive.

Seminai valori uomini e raccolsi uomini di valore.

Questo mi aiuto’ nella gestione di quello che definisco “la tempesta perfetta”.

Il 15 marzo 2021 venne a bussare alla mia porta. Si presento’ come un giorno normale quasi ignaro che sarebbe diventato il mio 11 settembre. Intorno alle 14:00 la pressione sanguigna massima di mia madre balzo' oltre i 240 e qualcosa nel suo cervello non seppe reggere. Fu emorragia interna. Tutto quello che era racchiuso nel suo scrigno magico venne compromesso. Come in Titanic, il mare passo' inesorabile paratie, scompartimenti, pensieri, emozioni, ricordi e coscienza.

La stessa notte, mi ritrovai a Roma insieme a mio fratello e mia zia con mia madre in ospedale e mio padre da tempo invalido e con la mente in un mondo di cui solo lui possedeva le chiavi.


Non sapevamo nulla di come prenderci cura di lui, quali medicine prendesse ne tanto meno di quali cure avesse bisogno e l’unica persona in grado di aiutarci stava aggrappata ad una zattera nel mare gelido, guardando un tunnel con la luce da una parte e le voci dei dottori in sala operatoria dall’altra.

Fui costretto a diventare il padre dei miei genitori.

Tutto quello che mi avevano insegnato irruppe violento nel mio destino. Cercai da qualche parte una cabina del telefono, vi entrai e strappando la camicia di adolescente cresciuto, fui costretto a trasformarmi in un uomo. Da Clark Kent divenni Superman.

Imparai il vero significato di “problem solving”. Nel senso che, se non avessimo avuto la capacita’ di risolvere la situazione bene e immediatamente, mio padre sarebbe morto. Mia madre in mano ai dottori, mio padre in mano a noi.

Tick tack, tick, tack...reagisci, agisci, decidi. Cercammo tutti un Dio che pregammo e maledimmo. Il libero arbitrio, il caso, il destino... tre aspetti che vorticosamente presero in ostaggio le menti in un mulinello di consapevolezza e fede delle volte al contrario.

Ci mettemmo circa un mese, ognuno facendo la sua parte, ma portammo a casa un risultato incredibile.

Rovistammo in ogni cassetto dei miei nuovi figli e, per la prima volta in vita mia, benedissi la precisione maniacale di mia madre. Trovammo appunti dettagliati su qualsiasi cosa. Tutto era dove era logico che fosse.

Contattammo tutti i dottori trovati nell’agenda magica di mia madre, venimmo a capo di qualcosa come un piano di venti medicinali al giorno, tutti in orari collegati tra loro, gestiti da ben tre piani terapeutici divisi in tre strutture mediche diverse. Capimmo realmente cio' che mamma stava facendo per mio padre. Si era completamente annientata per assisterlo. Rabbia e ammirazione pervasero i nostri cuori. Dove era il confine tra essere cristiani, tra amare fino alla morte e il rispetto della vita stessa che Dio ha fatto in modo ci arrivasse? Un fiume con due emozioni come sponde:

quello ero io.

Per gestire mio padre fu necessario ingaggiare tre moschettieri. Hector, Giulia ed Allyson, rispettivamente badante h24, segretaria gestionale dei piani terapeutici e assistente alle pulizie di casa.

Passammo un mese nella tempesta. Mamma entrava ed usciva dalla terapia intensiva. Passava da un viaggio di sola andata con Beatrice e Dante ad uno di ritorno con Adriana di Rocky. Quando i dottori ci dicevano che forse ce l'avrebbe fatta, immaginavo il suo risveglio come nella mia scena preferita dell'intera saga di Rocky. Quella in cui Adriana si sveglia dal coma, guarda Rocky e gli dice che vorrebbe che lui facesse una cosa per lei. Gli dice "Vinci"...

Anche Dana, Iulia ed Alex vennero nella tempesta con me. Proprio accanto a me. A Roma. Ognuno fece la sua parte, anche non sapendolo.

Dopo un po' il maltempo sembro' placarsi. Hector fu istruito a dovere, I piani terapeutici erano sotto controllo e la pulizia di casa era garantita. Mamma ancora lottava guerre di silenzi, ma in quelle battaglie avevamo un ruolo da spettatori e non da attori al momento. Eravamo nelle mani dei dottori che a loro volta erano nelle mani di Dio.

Dopo circa quattro settimane, fui quindi in grado di tornare dai “miei” ragazzi a lavoro. Dopo quello che avevo passato, quello che mi sembrava un lavoro complicato assunse connotazioni molto più rassicuranti… In fondo cosa altro poteva capitarmi di più difficile?

Detto fatto. Il referente primario si infortuno’ ed il suo vice si ammalo’.

Simultaneamente.

In pratica, mi ritrovai da terzo referente/jolly a referente unico di circa 75 persone, con un padre malato lontano 600km e una madre in coma.

Sembrava di essere come in un film, anzi mi sentivo parte di un trailer, dove tutti gli avvenimenti si susseguono velocemente tra musiche ad effetto e primi piani ammiccanti.

Il film vero e proprio sarebbe uscito molto presto nelle sale...

Era la resa dei conti. Il tempo per le domande era finito.

Il mio modo di concepire la leadership avrebbe funzionato o sarei stato mangiato?

Nessuno dei miei superiori credeva pienamente che io fossi pronto a gestire la situazione e questo mi diede quel boost che fece la differenza.

Quello che non ti annienta ti fortifica.

I ragazzi e me da quel momento fummo una sola cosa. Qualcosa di magico era nell’aria. Tutto funziono’ alla perfezione. Loro colmarono le lacune logistiche che ovviamente ancora avevo, e io gli davo l’anima in cambio. Fu una guerra in trincea senza esclusioni di colpi; un solo "noi" contro tutto e tutti, sempre dividendo a meta’ il cuore con l’incubo che stavamo vivendo insieme a tutta la mia famiglia.

Ricordo che gli unici momenti di pace li trovavo la sera, tra le carezze di mia moglie, accovacciato in grembo su di lei.

Figlio di mia moglie e padre dei miei genitori.

sabato 19 novembre 2022

MANI SPORCHE

 



Mani sporche.

Spesso mi sono ritrovato a guardare mani. Le mie e quelle degli altri.

Le mani narrano storie senza voce.

Io detesto avere mani sporche. Lo detesto.

Eppure in questi tre anni le mani sporche mi hanno portato al DOVE sono in questo momento, e soprattutto al COME sono in questo momento e, dannazione, ne sono fiero!

Ricordi, molliche di vita su tavola sempre e, nonostante tutto, bianca.

Flash di questo incredibile periodo mi vengono a cercare e oggi ho deciso di farmi trovare.

Essere Corriere ha rappresentato una nuova sfida, l’ennesima. Ricordo che non sapevo nemmeno guidare un furgone. Non conoscevo il territorio ne il mestiere.


Io e le mie mani pulite spesso in guanti bianchi, ci siamo ritrovati davanti ad una realtà ruvida, fottutamente pratica e spietata.

Il mio essere "Hilton" doveva radicalmente cambiare.

Niente più giri di parole, falsi servilismi. Nella logistica tutto è diretto, veloce e pragmatico, come un buon Amarone: niente scorciatoie... lo assapori e il tannino ti porta dove vuole lui.

Delle volte, tuttavia, capita che il fato ti serva sapori diversi ed è questo, anche se raro, che in realtà ha fatto la differenza nella mia esperienza.

Ricordo quella volta che, per consegnare uno stendino in un posto dimenticato da Dio, chiesi delle indicazioni ad un operaio che stava scavando con la ruspa. C'erano quaranta gradi, il suo viso era nascosto tra rughe nere come la notte. Quando l'ho distolto dal suo lavoro mi è parso di averlo quasi svegliato da una specie di torpore figlio di malinconia, sogni a metà e sudore. Mi ascolto', si rese conto che per raggiungere il posto che cercavo avrei dovuto cercare un paio di monete da dare a Caronte perché, con quel caldo e con tutta quella strada in salita da fare, è nell'inferno che sarei dovuto scendere...

Cosi, smise di scavare e porto' la pala meccanica fino a me. La cosa era talmente inverosimile che funziono'. Lo stendino ed io entrammo nella "grossa mano di ferro" e insieme raggiungemmo la destinazione della signora dai panni bagnati in mano grazie al passaggio più bello di cui mai ho goduto. La logistica è cosi'. Sporca e faticosa, ma con delle sfumature di vita vissuta, di vita dal sapore vero che ti fanno sorridere, che ti aprono il cuore e sanno cambiare da salato a dolce il sapore di sudore che invadente bacia labbra aride.

Ricordo quella volta in quel buio pomeriggio di dicembre in cui mi trovai nel bosco, con la neve, per una delivery presso una baita. Dopo aver orgogliosamente consegnato, credo una stufa elettrica a quella che mi piace pensare essere stata la nonna di Cappuccetto Rosso (prima di aver incontrato il lupo) mi resi conto che non avrei mai trovato un piazzale in cui fare manovra per tornare indietro. Fui costretto ad una retromarcia di quaranta minuti in un sentiero innevato, scosceso e pericoloso come le labbra al rossetto rosso di Lolita. Anche Vodafone mi aveva abbandonato lasciando il mio fedele motorola G7 muto e stordito come un bambino in castigo. Ero solo, con un Mercedes Vito a trazione posteriore (oltretutto!) in mezzo al nulla, procedendo al contrario avendo come unici riferimenti gli specchietti laterali e il bianco della neve che rifletteva la luce della retromarcia.

Ricordo che pensai che potessi fare la fine di Paul Sheldon in "Misery non deve morire", ma poi realizzai che non ero affatto uno scrittore famoso e questa cosa, per una volta tanto, mi sollevo'...

Vito ed io, dopo quasi un ora di sospiri, manovre e sguardi complici tra gli specchietti, arrivammo sani e salvi sulla strada principale. Ricordo che scesi dal fedele Benz e mi inginocchiai nella neve mentre le quattro frecce accese lampeggiavano intermittenti tra emozioni finalmente calde.

 

Ricordo quella vota che Giulia, una bambina di circa sei anni, mi accolse come un eroe perché le avevo portato il suo regalo di compleanno… una fiammante bici di Barbie rosa.

Era li ad aspettarmi, con il viso contro il cancello a rete. Quando mi vide, si girò verso la mamma e la chiamò con tutto il fiato che aveva in corpo. Quel bel visino bimbo e paffutello ancora aveva i segni del cancello che la teneva prigioniera fino ad un attimo prima. Ancora lo ricordo, ancora sento i brividi rincorrersi sulla pelle d'oca.

In quel momento non ero un corriere. In quel momento ero un supereroe, ero un padre di una figlia che forse in un altra vita sarà la mia, ero un Babbo Natale vestito dei colori del cielo!

 Ero al centro del mondo.

Ricordo una Coca Cola regalatami dalla signora Maria, ad Agosto. C’erano quarantadue gradi, le ho consegnato un’aspirapolvere e lei, insieme ad uno sguardo da nonna… mi ha regalato quella bibita fresca che mi ha dissetato fin dentro l’anima.

Ricordo di quella volta che accettai di aspettare più di dieci minuti per un contrassegno semplicemente perché il cliente dai capelli bianchi e le buone maniere me lo chiese gentilmente. Quella gentilezza di altri tempi. Se fosse stata musica, sarebbe stata quella di un violino. A me il violino piace. Mi porta via con se in vecchi film in bianco e nero da vedere di notte, quando tutto va più piano.

 E poi ci sono loro. I ricordi dei colleghi...

Quando fai un lavoro prettamente fisico, faticoso e a volte rischioso, se qualcuno ti aiuta, ha un altro “peso”. Quando una mano sporca e stanca viene tesa per aiutare la tua, ebbene quel connubio diventa indissolubile.

Due mani stanche si stringono più forte.

Ovviamente ho stretto anche mani false, mani meschine e mani grandi grandi di uomini piccoli piccoli. Questo fa parte del gioco, di qualsiasi gioco. La cosa un pò speciale di questa storia però è che non riesco a portare rancore. Anzi.

Questa esperienza mi ha fatto benissimo. Sono diventato un incassatore. Ho imparato a lasciare andare. Ho imparato a perdonare perché è solo lasciando andare le zavorre che si è liberi di volare via.

Sudore, fatica, crampi a gambe mai allenate abbastanza, brividi di freddo, tepori di amicizie vere, sorrisi di bambini... Questo è quello di cui è fatto questo lavoro. Poi c’è il rispetto, quello vero. Quello che in certi ambienti, se lo guadagni, non lo perdi più.


lunedì 14 novembre 2022

L' UNICORNO

 


L' UNICORNO





Era il 4 maggio 2020.

Il lavoro sembrava semplice. Dovevo consegnare dei pacchi a delle persone. Lo dovevo fare velocemente e volevo farlo dannatamente bene. Dovevo imparare luoghi sconosciuti e dovevo imparare a cavalcare un destriero a quattro ruote, grande. Molto grande. Non ne sapevo nulla, ma sapevo che avrei imparato, sbagliato e imparato nuovamente, cosi fino al "vissero felici e contenti" dei racconti letti ai bimbi prima del bacio della buona notte.

Come ogni bella favola che si rispetti pero' andava scritta nella maniera giusta.

Decisi che avrei consegnato quei pacchi come se fosse stata una missione di vita. Decisi che avrei empatizzato con i miei “clienti” anche se solo per pochi secondi ognuno. Decisi che per loro non sarei stato solo un corriere, ma prima di tutto, sarei stato Daniele…il loro strano Babbo Natale vestito di blu, dall’accento romano, lo sguardo spaesato e il cuore grande.

Spesso un corriere molto bravo viene definito un cavallo. Non ho nulla contro i cavalli, ma perché essere cavallo quando si può essere unicorno? Trovare magia, metterci l’anima anche facendo un’azione banale come consegnare un pacco. Questo fu il mio obbiettivo. Gentilezza, empatia, responsabilità’, pazienza… impegno, perseveranza, gioia, sorrisi veri o veramente finti. Tutto questo mi rese uno strano corriere. Non velocissimo, ma preciso, mai banale e soprattutto coerente con il mio essere. Decisi di essere in armonia con me stesso nei limiti del buon senso ovviamente. Delle volte la gentilezza venne scambiata per debolezza e in quel caso trovai nel compromesso una risposta infallibile. Il compromesso e’ un'arte e come tale, delle volte, bisogna sapere su quale palco portarla in scena.

Essere un diverso, inevitabilmente mi pose in una condizione visibile. Nel bene e nel male.

Il mio responsabile, mi vide. Mi vide sul serio e insieme creammo una strana connessione. Lui aiutava me ed io lui. Esperienza e pragmaticità in cambio di umiltà, perseveranza e polvere di stelle.

Una nuova realtà si paleso'. Ero entrato a far parte di una strana squadra operativa composta dal mio bizzarro responsabile e il suo vice. Quest'ultimo si dimostro' una fantastica sfida. Apparentemente risulto' un tipo con un carattere impossibile. Chiuso e riservato al limite della maleducazione, ma fin dalla prima stretta di mano ebbi l'intuizione che le cose non erano proprio come sembravano. Pian piano mi resi conto di essere davanti ad una miniera d'oro. In certi casi, bisogna dover scavare, sudare e sporcarsi per raggiungere qualcosa di prezioso... ma poi, l'oro è li... dove bisogna solo saperlo cercare.

Eravamo tre persone diverse, ma complementari. Poteva funzionare e infatti funziono'... anche perché due occhi di cerbiatto vegliavano sempre su di noi. Erano quelli della nostra dolcissima ragazza addetta all'amministrazione. Tre ragazzacci e una giovanissima perla rara..."what else?"

Potevo o avrei dovuto fotocopiarmi al modo di fare di ognuno di loro percorrendo semplicemente un solco già ben impresso in un campo ben seminato,  ma non lo feci.

Non perché non abbia approvato certi modi di fare, anzi, fino a prova contraria funzionavano e il mio rispetto fu incondizionato, ma perché era venuto il momento di provare ad essere quel leader che avrei sempre voluto avere...

Mi comportai come Daniele.

Daniele, quello dalle buone maniere, quello che da fiducia fino a prova contraria. Quello che se può aiuta e se non può fa in modo di aiutare comunque. Quello che condivide, che crea motivazione. La mia missione fu quella di fare in modo che il team lavorasse con me e non per me. Che mi seguisse e che mi rispettasse per loro volere e non per loro dovere. Suonava un po’ utopico, ma tutto ciò che poi si avvera prima risuona note di utopia.

Cos’e'  un’utopia se non un sogno che alla fine non ce l’ha fatta?


Questa fu la mia nuova sfida. Saper portare sorrisi, gentilezza, motivazione e magia in un regno (non ancora) incantato.

E' mattina ormai, il mio “vissero felici e contenti” non è stato ancora scritto del tutto.

Ci sto lavorando ma promettere bene... Mi sembra di vederlo, in quell'angolo celato tra ombre di cose che non sono, ma saranno. Ha le braccia conserte e il broncio di quello che aspetta da un bel po'.

Come un vecchio giocattolo impolverato, lo abbraccio forte forte. Con lui mi dimeno in quest'alba tra anime di chi non c’e’ più’, baci di regina e cuori genitori.


domenica 30 agosto 2020


 

LOCKDOWN, FABIO VOLO E MARILYN MANSON



Che bello! Il B&B andava alla grande! Certo, tanto impegno… ma quante soddisfazioni!

E’ strano, il B&B era entrato nella nostra vita ridefinendone i confini. In pratica, la nostra vita lavorativa si era sposata con quella privata. La passione e l’entusiasmo per il nostro progetto ci stava dando tanto… ma allo stesso tempo togliendo molto. Un po’ come quando sei innamorato della ragazza sbagliata… certe cose proprio non riesci a vederle. Vuoi essere felice con lei ad ogni costo… 

Il destino, comunque, avrebbe fatto in modo che io e Dana, con la ragazza sbagliata, proprio non avremmo avuto a che fare per molto. Era marzo; il covid da semplice “e’ poco piu’ di un’influenza” e’ passato in modalita' pandemia mondiale “ moriremo tutti”. In circa quindici giorni, tutte le prenotazioni del B&B furono cancellate. Anche nella mia amata stuttura alberghiera, con cui collaboravo come consulente, suono’ purtroppo la stessa musica. Mi viene in mente la scena dei musicisti del "Titanic" mentre affonda…

Poi il lockdown. Semplicemente surreale. Da un giorno all’altro non puoi piu’ uscire di casa. Fine della storia. Da Titanic siamo passata a "The walking dead".

Le giornate passavano veloci, dannatamente veloci. Un po' come quando inizi a mangiare gli orsetti di gelatina: non importa quanto grande sia il pacchetto che hai comprato... sara' finito sempre troppo in fretta. Il paragone sembra uscito da uno spot, ma rende l'idea. Parla di dolcezza, tempo e felicita'. E' esattamente quello che stavo vivendo. Dana e i miei bimbi. Li stavo vivendo, mangiando, respirando, toccando per davvero. Mi e’ piaciuto. Piaciuto a tal punto da farmi riflettere su cosa e per chi valesse la pena di lottare. Tra un caffe, una partita alla Wii, svariati tentativi di reprimere ansie da disoccupazioe e roba tipo “che cazzo di fine faremo", "e’ tutta colpa del 5G, anzi no", "sono stati i cinesi, anzi no", "e’ sfiga, anzi no, ...o forse si” mi sono chiesto se ci potessero essere ancora ambizioni  cosi’ grandi da permettermi di rinumciare a cio che stavo  riscoprendo con il lockdown: il mio tempo con loro.

Il tempo aveva assunto ritmi tutti suoi. Mangiare per fame, giocare per voglia, riparare e manutenere casa semplicemente per hobby.

Il nostro umore da genitori quarantenni aveva praticamente comprato un abbonomento "salta la fila" per le montagne russe. Eravamo senza entrate economiche, senza ammortizzatori sociali e le notizie dai media proprio non aiutavano a vedere luce alla fine del tunnel. Ricordo discorsi con Dana: pieni di positività e speranza alla mattina, scricchiolare contro discorsi a occhi aperti durante la notte, guardando un soffitto buio argomentando situazioni ancora piu cupe. Comunque, come spesso capita, l'adrenalina provocata dall'up&down delle montagne russe ti smuove dentro; e, come un primordiale Adamo in uno strano paradiso terrestre, cercai e trovai la mia Eva. Le notti alla scoperta del peccato fecero capolino tra poesie e film con il bollino rosso su Rete4 dopo le 23 per capirci J…e furono molte ed intense... Era come un fuggire dalla realta' verso una non-meta. In quei momenti fuggire era la meta.

Per sentirmi una persona con un minimo di intelletto, anzi, per atteggiarmi con  gli amici che stavo leggendo qualcosa di diverso dall’etichetta dell bagno schiuma, avevo messo sul comodino un libro di Fabio Volo rubato a Dana. Fondamentalmente leggevo Fabio quando Dana mi faceva capire che non avrei avuto speranze di avere… di meglio. E ogni volta Fabio, nel libro, faceva sesso. Cioe’: io no, e lui si. Faceva sesso continuamente o si ricordava di averlo fatto. In questo lockdown ho imparato tante cose e una verita' inalienabile rimane il fatto che non importa quanto il sesso possa essere migliorato con tua moglie…Non si puo’ competere con Fabio Volo.

Dopo le prime settimane, tutta la casa era manutenuta e pulita e avevo finito di candidarmi per qualsiasi lavoro immaginabile, negli ambiti della legalita’ perlomeno. I bimbi erano diventati dei piccoli Bill Gates con le video lezioni di scuola, mentre io e Dana avevamo riscoperto lo stress da compiti di scuola pomeridiani: un incrocio tra “amore di papa’ ti aiuto io con i compiti” e “v@ff#%*ulo non capisciuncaxxo; hai il DNA di qualcun’alto!”. Montessori e Marilyn Manson a momenti alternati insomma.

Poi la resilienza ebbe il sopravvento. Iniziammo a porci degli obiettivi totalmente folli vista la situazione. Il concetto era e sara' sempre lo stesso: se devi puntare, punta verso il cielo.. In un mondo dove la notizia dei TG piu’ positiva era il fatto che il campionato di serie A si sarebbe fermato (almeno la Roma avrebbe smesso di perdere match in continuazione), Dana ed io cercvamo case da comprare, albe da vedere, terra con cui sporcarci.

Senza lavoro per entrambi, in piena pandemia, noi progettavamo un nuovo inizio. Non so se e’ stata follia, visione del futuro o indice di malattia mentale, ma alla fine del lockdown saremmo stati pronti a rimetterci in gioco reinventandoci, e con un nuovo obiettivo: Iniziare da noi. Un "noi" fatto di tante nuove consapevolezze e vecchie certezze. Mi viene in mente "il cerchio della fiducia" del film "Ti presento i miei". Ne avevo uno, ma le circostanze mi hanno portato a crearne uno nuovo, molto piu' piccolo e robusto. All'interno, oltre alla famiglia, ho fatto spazio solo per pochissimi amici... e per Sfigatto ovviamente :)

Bob Marley disse una cosa meravigliosa: "i veri amici sono come le stelle; puoi riconoscerli solo quando e' buio intorno a te"

Bob forse ha avuto la mia stessa fortuna.

Alessandro, il mio migliore amico da sempre, quel tipo di amico presente in quasi tutti i ricordi della tua vita, rese possibile l'impossibile. La mia resilienza aveva fame di lavoro, di un nuovo inizio, e Alessandro, impeganto nella logistica, uno dei pochissimi settori che il lockdown non aveva danneggiato, mi fece ottenere un colloquio di lavoro presso una delle piu' importanti realta' italiane del settore.  Ale mi mise ad un tavolo da gioco dove la posta era un lavoro come Driver.

Ricordo come affrontai quel colloquio. Mi giocai delle carte prese da un mazzo speciale. Una collezione di carte malconcie e vissute. Solo chi ne ha giocate un po' di partite al buio mi capira' fino in fondo... Non potevo vantare esperienze di alcun tipo nel settore, non conoscevo nessuno ed ero solo. Usai tutto quello che avevo imparato.  Problem solving, thing out of the box, less is more... sembravano lontani slogan per far colpo nel CV, e invece mi fecero condurre la partita. 

Mi alzai da quel tavolo con un lavoro in tasca. 

Nonostante la pandemia ci avesse distrutto un sogno ormai realizzato, noi non avevamo arretrato di un centimetro. Non so se chiamarla fortuna, aiuto divino o bravura, ma in qualche maniera eravamo riusciti ad essere ancora in gioco. Sporchi, incazzati e pieni di voglia di ricominciare, in qualsiasi modo…



PS.:  Ho finito di leggere il libro e Fabio viene lasciato dalla tipa…

Cavolo! Mi e’ dispiaciuto (neanche tanto pero’)! Speriamo di poter recuperare almeno un po! J 

lunedì 24 agosto 2020

“BENVENUTI A TUTTI QUELLI COME ME”


Dunque, dove eravamo rimasti?

Ad un anno fa piu’ o meno...

Ero in Olanda, impegnato nella mia carriera e nella ricerca di un rientro in Italia.

Il “pezzo” che segue e’ stato scritto qualche mese fa… Avrebbe dovuto essere l’ultimo del blog! Pensavo di aver trovato un fantastico “…e vissero felici e contenti” e invece, proprio mentre stavo per organizzare i ringraziamenti e i “titoli di coda” cominciavano gioiosi  a rincorrersi …La pandemia di Covid 19…ha deciso che il giro sulle montagne russe non era ancora terminato…Anzi...




“BENVENUTI A TUTTI QUELLI COME ME”

"Ciao nonna, ci vediamo a giugno! Mi raccomando: stai attentata, mangia sano e non troppo!"
 Quelle furono le ultime parole che le dissi.
Scesi le scale e andai via, sentii il suo sguardo avvolgermi le spalle... come se avesse saputo...
Da li a poco se ne sarebbe andata. Lo avrebbe fatto all’improvviso, in punta di piedi.
L’elaborazione del lutto e' del tutto personale. Inspiegabile, ingestibile. Nasce e muore in un pensiero, grande abbastanza da spezzare catene di congetture e fottutissime logicita’. Mi sento come quando ero piccolo, vestito con i pantaloni corti, i calzini bianchi e le scarpe ortopetiche, quelle nere con i buchini nella parte superiore. Non ero un bambino facile, non ero suo figlio, eppure lei era mia madre. Mi ha aiutato in tutti i modi in cui una persona puo’ aiutarne un’altra, e ora che non puo’ piu’ parlare, ho imparato ad ascoltarla, ma in un modo diverso.
Quante cose sono cambiate in questi anni. Quante lezioni ho imparato. Forse sono diventato un uomo o forse ancora no. Spero di averti reso comunque orgogliosa, nonna. Orgogliosa, non tanto per la strada che ho fatto, ma dei passi con cui l’ho percorsa. Ho gli stessi occhi di allora, ma oggi riesco a vedere colori che prima giocavano a nascondino.
Non ho fatto in tempo a dirti che la mia incosciente caparbieta’ mi avrebbe riportato indietro. Non ho fatto in tempo a dirti che la strategia per tornare in Italia aveva funzionato! La posizione manageriale tanto desiderata era tra le mie mani! Non ho fatto in tempo a portarti in dote il mio sogno realizzato. Avrei voluto consegnartelo tra quelle mani picoline, piene di vita vissuta e carezze da dare….
Invece il tempo e’ finito. L’ho perso. Ho vinto, ma ho perso.
Avevo realizzato il mio sogno. Ero il food&beverage supervisor in una delle piu’ importanti catene alberghiere del mondo presso una location fantastica: Como. Italia. La MIA Italia.
Finalmente potevo giocare alla pari. Potevo esprimermi nella mia lingua madre, potevo usare tutte le mie potenzilita’…potevo volare.
Mi sono trasferito a Como da solo, in attesa che la famiglia mi raggiungesse nel giro di qualche mese. Giusto il tempo di organizzare l’ennesimo cambio vita. Mi sono ritrovato a combattere contro due giganti: la solitudine e l'elaborazione del lutto. Ero solo, in una citta’ meravigliosa, ma ancora estranea. Stavo vivendo il mio sogno lavorativo, ma non potevo condividerlo veramente con le persone che amavo.
Finito di lavorare, tornare al B&B dove vivevo, mi faceva provare l’unica sensazione simile ad un tepore casalingo che proprio mi mancava. Cercavo di non pensarci, ma in cuor mio sapevo che mi stavo semplicemente prendendo in giro. Non ero a casa, in nessuna delle case che potevo considerare tali e il fatto di non poter vivere, toccare, guardare mia moglie e i miei figli, stava logorando un’anima gia’ ferita. Ricordo che mi addormentavo con la sciarpa rossa fatta dalla nonna sotto al cuscino. Riuscivo a sentire il suo odore. Non so spiegarlo, ma questo gesto mi faceva stare meglio. Cercavo di rimanere concentrato sul fatto che quella sarebbe stata solamente l’ennesima tappa di un disegno che si sarebbe dovuto completare a breve. Ero sollevato dal fatto che sarebbe stato molto piu’ semplice andare a trovare mio padre, sempre piu’ debole e provato da una guerra combattuta sapendo di non poterla vincere. Proprio dalla dignita’ di questa battaglia cercavo di prendere la forza per continuare ad essere il solito Daniele con le spalle grosse grosse…
Purtroppo pero’ quelle spalle si fecero piccole piccole quando arrivo’ la notizia che papa’ aveva issato bandiera bianca…. aveva smesso di combattere. Sentii il bisogno di urlargli in faccia che non poteva finire cosi’. Dovevo aiutarlo a combattere, a qualsiasi costo. Ed ecco che all’ennesimo bivio mi si paleso’ davanti…
Che fare? Fingere di non avere scelta, continuare la carriera manageriale lontano da tutto e tutti o fermarsi?
Ancora ricordo gli attacchi di panico, gli incubi…i rimorsi…
Poi arrivo’ il momento della verita’. Mi guardai allo specchio. Per davvero. Quello che vidi non mi piacque. 
Il lavoro, questa fissazione di dimostrare e dimostrarmi di essere in grado di realizzare gli obbiettivi prefissati, mi avevano portato ad essere l’immagine che gli altri avrebbero voluto vedere  e non quella che in realta’ ero veramente. La mia famiglia era divisa tra Leiden in Olanda e Roma in Italia. Io ero a Como, un posto dove in quel momento non aveva piu’ senso essere.
Mi sono licenziato.

Ho praticamente distrutto tutto quello che credevo essere la mia “ragione di vita” con una firma…Ancora una volta… 
Sono tornato ad essere solo un figlio, un marito ed un padre.
Ho passato del tempo con i miei genitori. Ho imparato una lezione d'amore da mia madre, nei confronti di mio padre, che va al di la di ogni tentativo di spiegazione. Certe cose vanno oltre l'amore, talmete oltre che talvolta e per taluni, non si riescono neanche a capire realmente fino in fondo...Mia madre: un guerriero gigante di 1,5m.
Non so esattamente come possa aver fatto o cosa possa aver detto, ma mio padre si “rimise in piedi” dando un senso a tutto. Anche la scienza si dovette errendere a quel recupero impossibile da spiegare…
Ormai appagato da tale miracolo, mi cominciai a chiedere come fare a ricominciare e soprattutto da dove…
Poi successe l’impensabile.
L’unico “porto sicuro” del periodo a Como, la camera “Fuoco” del B&B dove le mie inquietudini ed io passavamo le nostre notti perloppiu’ insonni, mi venne a cercare.
 I proprietari della struttura, mi proposero di gestire al loro posto l'intero B&B!

All’improvviso, si palesava  la possibilita’ di realizzare quel sogno che da sempre cullavo insieme a Dana e che troppo facilmente avevo lasciato nel cassetto. Non fu difficile convincere mia moglie ad aprire quel famoso cassetto impolverato e, in un battibaleno, ci trovammo ad orgnizzare un altro trasloco internazionale con un van pieno di vecchi scatoloni e nuove speranze!
Quel tempo che tanto mi aveva tolto, ora mi stava regalando una possibilita’ enorme.

 Il 12 agosto 2019 il nostro sogno prese forma.
Fu il nuovo inizio. Un piccolo passo verso un futuro pieno di nuovi cassetti da aprire…


In un anno abbiamo realizzato quello che non avevamo neanche il coraggio di sognare.
Siamo tornati a “casa” inseguendo una carriera che pensavo fosse l’unica che potevo desiderare. Ho compiuto delle scelte personali importanti che ho pagato perdendo molti dei miei punti di riferimento. Mi sono scoperto vunnerabile. Ho lasciato che il dolore mi vincesse. Ho deciso di cambiare priorita’. Ho deciso di ascoltare il cuore. Ho distrutto tutto e ho ricominciato. Ancora.
Dana, Iulia e Alex mi hanno supportato lasciandomi osare, sperare, sbagliare, capire. Questo e’ il regalo che solo pochi possono avere il privilegio di ricevere.

Ora mi sento appagato, felice, vivo. 
 L’idea di poter esprimere il NOSTRO concetto di ospitalita’, ci rende finalmente liberi.

Tuttavia, la sera, prima di andare a letto, quando i pensieri piu' puri trovano la via, sento ancora il bisogno della sciarpa rossa. Mi porta indietro nel tempo, a casa sua. Mi riesco a nascondere dietro un angolo del corridoio per spiare quel bambino in calzoncini corti e scarpe ortopediche. Lo vedo giocare felice, forte e con tanti cassetti da riempire…


“Ricominciare da meno di zero e finalmente sollevare il velo e raccontarmi veramente, non l’immagine vincente che la gente prova a vendersi di se…lo spettacolo riprende benvenuti a tutti quelli come me”
J-AX& bianca Atzei

mercoledì 29 gennaio 2020

"FELICI A META'"

"FELICI A META'"



Eccomi di nuovo qui, con questa tela bianca che mi fissa. E’ passato un anno dall’ultima volta che ho provato questa sensazione. Spesso il quadro che ho dentro non e’ facile da dipingere…spesso non so cosa sara’ e con quali colori si lascera’ raccontare…
Un anno fa avevo lasciato Daniele in Olanda, fiero per la promozione a shift leader e determinatissimo a diventare manager…
In un anno sono successe talmente tante cose che faccio fatica a raccontarle in un unico capitolo…
Ripensare a quello che ero un anno fa mi fa riflettere.
Certe cose le capisci solo quando sei in grado di guardarti da un altro punto di vista. Il tempo mi ha dato questo privilegio ed ecco che il quadro inizia prendere vita. Quel Daniele oggi non esiste piu’ e guardandolo finalmente lo riesco a capire. In quel periodo ero talmente focalizzato nella mia carriera, da non vedere quello che oggi e’ invece cosi’ chiaro. Ho lasciato che il tempo mi portasse via i giochi con i bimbi, le passeggiate mano nella mano con l’anima gemella, i natali a “casa”, i caffe’ con la nonna parlando dei tempi in bianco e nero assaporandone  i colori…
Ancora ricordo quando tutto questo fini’.
Era una sera come tante in Olanda. Il buio mi guardava dalla finestra e io mi facevo osservare senza timore reverenziale. Il giochino si interruppe strattonato dallo squillare del telefono. Era la mia mamma, che questa volta insieme alle solite carezze italiane, mi porto’ in dote un bel pugno nello stomaco. Era un bel po’che mio padre non era in forma, ma quella sera ebbi la certezza che non sarebbe mai guarito. Sapere che presto non avrebbe piu’ potuto essere li ad aprirmi la porta di “casa” al mio ritorno mi fece vacillare. Il buio degli inverni olandesi a cui spavaldo resistevo, all’improvviso mi prese e qualcosa si ruppe dentro me.
Cosa stavo facendo? Che Prezzo stavo pagando per il  mio arrivismo? Ero lontano dai dai miei affetti, dalla mia terra, dai miei amici per inseguire un futuro migliore, ma a che prezzo?
Ero veramente felice? Mia moglie era felice? E i miei figli? Stavamo inseguendo un ipotetico futuro migliore ma come stava andando il presente?
Parlai con loro come mai prima di allora. Ascoltai con sensi da tempo assopiti e finalmente tutto fu chiaro.
Eravamo sufficientemente integrati, con due lavori sicuri e una bella casa, eppure qualcosa proprio non andava e, probabilmente, non sarebbe mai cambiata. Non avremmo mai smesso di sentirci ospiti, seppur graditi in una terra non nostra.. Non avremmo mai smesso di vivere un “loro” e un “noi”. Non sarebbe mai passato quel nodo in gola che ti prende all’improvviso nel guardare il tricolore, l’azzurro della nazionale, il basilico , la burrata nel menu al ristorante… Non si sarebbe mai assopita quella sensazione di colpa guardando gli altri nonni giocare con i propri nipoti al parco, non sarebbe mai scomparsa quella frustrazione nel non sentirsi mai completamente accettati. Non ci sarebbero mai piaciute alcune abitudini e non avremmo mai sposato alcuni punti di vista. Non dico che ci sia un buono e un cattivo, un bene o un male, il giusto e lo sbagliato. Dico piuttosto che quando la diversita’ smette di essere un valore e comincia ad essere percepita come un limite, sia giusto cercare altre opportunita’ proprio figlie di questo nuovo stato d’animo.
In sostanza, avevamo finalmente ammesso che eravamo felici, ma a meta’…
Tutto questo, insieme alla consapevolezza di non poter fermare il tempo che stava portandosi via mio padre in un tragico gioco della fune, mi fece capire. Mi ricordai di quella sera di tanti anni prima, di quando ero sul divano insieme a lui, guardavamo la TV e all’improvviso mi sentii  strigere la mano forte forte. Puo’ sembrare poca roba, ma per me non lo fu.
Non potevo permettermi di smettere di essere figlio. Sentivo il bisogno di avvicinarmi il piu’ possibile a “casa”. Volevo fargli sentire che stavo facendo qualcosa per prendergliela io la mano questa volta…
Smisi di ignorare quella malinconia che solo gli “EXPAT” possono dire di conoscere… Cominciai a mettere in discussione le nostre scelte, le priorita’…insomma, cominciai a smettere di ragionare con la testa e proprio per questo mia moglie ritrovo’ suo marito, i miei figli il padre e io….me stesso.
Non ci saremmo piu’ accontentati di essere felici a meta’. Ci rimboccammo nuovamente le maniche e mettemmo giu’ un piano per andarci a prendere l’altra meta’ della felicita’.
Ora finalmente sapevamo cio’ che volevamo. Bisognava semplicemente portare la nostra vita olandese, piena di sfide e certezze, in Italia.
Non giudico e non voglio essere giudicato. Penso solamente che il bello di qualsiasi percorso di crescita sia nell’evoluzione. Penso anche che ognuno abbia un concetto di evoluzione diversa, figlia della propria sensibilita’ e dei propri demoni.
Non sempre la naturale via dell’evoluzione si palesa davanti a noi. Ho capito sulla mia pelle che delle volte per poter andare avanti, bisogna poter essere in grado di voltarsi indietro.
Non sempre chi vince e’ un vincente, quelli bravi direbbero che non sempre un vincente e’ un uomo di valore. Io dico che delle volte per vincere bisogna saper perdere.
Una volta spogliati delle nostre razionalita’ e ammesse le nostre debolezze, ci fu facile stabilire le nuove priorita’. Sapevamo che, una volta ritornati in Italia, quello da cui eravamo scappati lo avremmo trovato ancora li ad attenderci, ma quello che questa volta avrebbe fatto al differenza saremmo stati i nuovi noi.
Le persone che siamo diventate sono lontani parenti di quei due ragazzi un po’ viziati che anni fa andarono via…
Abbiamo preso consapevolezza nel nostro valore, abbiamo dato un’altra connotazione alla parola “volere”: L’abbiamo trasformata in “ottenere”. Abbiamo imparato moltissimo da tutti i punti di vista.
Ora la sfida sara’ quella di prendersi tutto. Realizzare la nostra vita professionale in un posto che la nostra anima possa chiamare “casa”. Crescere i nostri bambini donandogli la possibilita’ di essere vissuti anche dai nonni al caldo di tepori sacrosanti. La sfida sara’ di essere cosi’ bravi da assicurargli una preparazione tale da potergli permettere di scegliere nuove vie se e quando sara’ il momento.
Contro tutto e tutti. Sempre noi, pronti ad andarci a prendere tutte le meta’ necessarie per essere pienamente felici!

Gia’ mi sembra di sentire i “te lo avevo detto” e i “ma hai pensato al futuro dei tuoi figli?”…Sinceramente rifarei altre 100 volte la stessa scelta che feci quattro anni fa perche’ in quel momento sentivo che fosse la scelta migliore. Spero di poter dire la stessa cosa tra qualche anno in merito alla decisione di ritornare in Italia che abbiamo maturato. Quello di cui sono sicuro e’ che tutta questa storia mi ha reso un combattente e che, finche’ ne avro’ la forza, non mi pieghero’ al compromesso. Siamo nati per vivere a pieno i nostri sentimenti, uno tra tutti la felicita’ e, Dio mi aiuti, questo faro’. Cerchero’ per me stesso e per la mia famiglia la combinazione magica , la fine dell’arcobaleno, il tesoro dei pirati, la “X ‘sulla mappa….Sono un sognatore? Un visionario? Un organo prevalentemente sferico atto a contenere simpatici spermatozoi? (cioe’ un coglione)? Vedremo…intanto la rotta e’ tracciata nuovamente…il quadro e’ stato dipinto….i colori sono il verde, il bianco e il rosso.
E non sono mai stati cosi’ belli.