lunedì 18 settembre 2023

IL CASSETTO

" IL CASSETTO"



Per circa un mese avevo diretto un’orchestra fantastica, tanta melodia, niente assoli. Una sorta di "uno per tutti e tutti per uno" dei quattro moschettieri, ma con il furgone al posto del cavallo, berrettini blu al posto di pennacchi e con modi decisamente meno regali:-)

La musica suonata arrivo' a tante orecchie e chi doveva ascoltare certe note, lo fece... Non me ne resi conto subito tuttavia. I due referenti "primari" ritornarono dai loro infortuni e io finalmente ritornai nella mia confort-zone.

Come un gatto bagnato dopo un temporale ero finito in un angolo ad usciugarmi il pelo (nel senso figurato :-)) cercando un po' di calore qua e là. Ero stanco, ma orgoglioso. Pensavo ai miei genitori. Sarebbero stati fieri di me. Immaginavo lo sguardo di papa' accogliermi ad ogni giornata "portata a casa". Fantasticavo di poter raccontare tutto questo a mia madre.

Lei, la ragione di tutto ciò che sono.

Bramavo una nuova normalità' fatta delle solite chiacchierate con mamma alla fine della giornata, dei soliti discorsi, delle solite battute, delle solite raccomandazioni.

Pensavo che prima di tutto questo terremoto, ero felice e non lo sapevo.

Poi arrivo' il 17 giugno. Erano le 5 del mattino. Il Motorola G7 bianco suono' illuminando la stanza di blu. Dall'altra parte della luce blu c'era un infermiere assonnato, almeno quanto me. Mi disse semplicemente che papa' era morto. Per lui fu una telefonata. Per me fu la telefonata. Chiamai mio fratello. Ricordo di essere stato forse più' ruvido dell'infermiere."Claudio, papa' è morto". 

Parlammo silenzi.

Ero confuso, ero ferito. Fu in quell'occasione che sentii veramente di avere un fratello. Sentii il senso di avere proprio mio fratello. Lui, esattamente come il suo percorso di vita me lo aveva offerto. In quella fase della nostra vita aver trovato Claudio con un certo tipo di vissuto e con un certo tipo di visione, mi salvo' dal perdermi.

È strano e non è giusto, ma condividere quel dolore mi fece sentire meglio. La parola magica fu "insieme". Insieme provammo a far diventare razionale ciò che razionale non voleva essere. Ragionammo e andò' un po' meglio. Immaginammo papa' libero di vivere nuovamente. In cuor nostro sapevamo che era quello che papa' stesso desiderava e, in fondo, anche noi.

Mi venne in mente il suo cassetto delle meraviglie. Era nel suo negozio in via Luigi Rizzo 103. Era sotto a quel banco di lavoro in legno consumato da tempo e preoccupazioni. In quel cassetto teneva qualsiasi cosa di recupero potesse servire o non servire.

 Viti, dadi, bulloni, rondelle e ferraglia: versi di poeta artigiano; racconti ancora da scrivere per fantasie acerbe di bambini. Ero bimbo infatti quando aprivo quel cassetto e costruivo dal nulla storie, casette e improbabili accrocchi luccicanti. Adoravo quel cassetto. Lo amava anche Claudio e anche i miei figli non erano rimasti immuni a quel fascino in bianco e nero. Pensavo che ovunque fosse stato in quel momento, papa', quel cassetto, lo avrebbe avuto con lui. 

Ricordo di averlo visto in videocall il giorno prima. Le precauzioni per il contenimento del Covid non mi consentivano altro. Era in ospedale in seguito ad una caduta in casa. Aveva la barba lunga, bianca come nuvola e degli occhi dolci dolci. Non era lucido, ma quella volta notai in quegli occhi qualcosa di diverso. Mi mando' due baci accompagnandoli con la mano. E’ strano, ma in qualche modo e’ come se entrambi avessimo capito che quelli sarebbero stati gli ultimi baci che ci saremmo scambiati. Non c’e’ nulla di più’ vero di qualcosa che non riesci a spiegare... 

Intanto mamma passava da una struttura ospedaliera all’altra ed ogni giorno accusava qualche handicap in più’. Stava pian piano perdendo pezzettini di se stessa. Giorno dopo giorno mi resi conto che mia madre era morta quel maledetto 15 marzo. Era rimasto amore incondizionato e dolore. Retaggi e sensi di colpa danzavano insieme a scheletri in armadi che sarebbero dovuti rimanere chiusi.

È come se il destino stava giocando a carte con me e io non stavo vincendo. Avevo perso papa' e stavo vedendo scivolare via mamma. Ricordo la terribile sensazione d'impotenza. Ancora è qui con me, latente come il virus della varicella...subdola come un tradimento non confessato. 

Tenevo ancora duro, ma stavo barcollando come Sterling al primo gancio di Tyson. Sarebbe bastato un altro colpo bene assestato per chiudere il conto. Per fortuna non arrivo'. Almeno non in quel momento. Ad arrivare fu invece una telefonata inaspettata. Ancora una volta una telefonata cambio' le carte in tavola. La voce di Alessandro rispose al mio romano "pronto frate' che voi?" Aveva toni allegri e sentori di sfida. Sembrava un buon Chianti: corposo all'inizio, gentile e fruttato subito dopo. Alessandro, Il mio migliore amico. Alessandro, l'amico che quella volta alle quattro di mattina in discoteca rischio' di prendere le botte al posto mio. Alessandro, quello che tutte le milioni di volte che mi sono lasciato con Federica era li a sopportare deliri e follie. Alessandro quello dei 1000 "si" detti e dei "no" neanche pensati. Alessandro, quello che sul cellulare ho salvato come "Ale Frate'".

"Ale Frate'" mi fece una proposta lavorativa pazzesca…”. Mi offri' la possibilità’ di lavorare a Milano come referente primario di un servizio top delivery per la società' in cui lavorava lui. Mi proposero di avere in gestione una squadra tutta mia, formata da me e cresciuta secondo le mie idee. Insomma…carta bianca.


Wow, che fare?, Sapevo di avere bisogno della mia confort-zone, di avere l’anima squarciata, il cuore arido e un morale tutto da rattoppare, ma come si fa a non andare al tavolo da gioco sapendo di avere le carte giuste per vincere il banco? Presi le poche fiches rimaste, alzai lo sguardo e pronuncia due parole in inglese: "All-in".

Azione. Reazione: Il primo febbraio venne a prendermi! Aveva uno strano accento Milanese con sfumature romane, sembrava Boldi nei cinepanettoni… Quello fu Il mio primo giorno da referente unico, in un avventura tutta nuova. Ero a Milano e avrei lavorato affianco al mio migliore amico!
Ricordo un giorno di tanti anni fa. Io e "Ale frate'" tornavamo a piedi da scuola a casa. Pioveva, io avevo le buste ai piedi per non bagnarmi, lui neanche l'ombrello. Diceva che "era solo acqua" e che non gli sarebbe servito nessun accorgimento per non bagnarsi. Ricordo di aver riso della nostra diversità', ma ricordo di aver pensato che insieme avessimo potuto essere complementari. A distanza di anni, quella mia congettura si dimostro' attuale. Io ed "Ale frate'", due facce della stessa moneta, pronti a giocarcela insieme... La sfida che mi aspettava era enorme. Lo scopo era quello di dimostrare in maniera definitiva e assoluta che un altro modo d'intendere la leadership era possibile! Una leadership circolare e non piramidale, dove il leader è al centro del team e non al di sopra di esso, dove il leader si prende cura della sua squadra, la tutela, la protegge e la motiva. Un leader soldato. Un Soldato In trincea. 

Formai la mia squadra, puntando sulla qualità' delle persone e non necessariamente sul loro skill. Formare persone in gamba mi permise ad avere lavoratori in gamba. Alla fine di un certo tipo di percorso, l'investimento umano porto' in dote un team di qualità'. Qualità' professionali e, soprattutto, qualità' umane. Il supporto di Alessandro fu come un mantello. Mi fece sentire con le spalle coperte. Sapevo che potevo contare su di lui sempre e comunque. Come per l'esame di terza media. Ricordo che eravamo impegnati in un progetto comune sull'energia idroelettrica. Insieme in cucina di casa mia ad armeggiare su di un cartellone sempre troppo bianco. L'improbabile musica di "Radio Shanuar" in sottofondo, i mondiali Italia 90 alle porte e un esame a farci sentire martiri o eroi.

Anche in quell'occasione, mi sentii libero di osare, sicuro di avere un mantello a proteggermi le spalle. A Milano osai. Il tempo mi diede pian piano ragione! Passammo da un 82% di consegne effettuate con successo ad oltre il 99%. Ancora ricordo la sensazione di camminare a testa alta tra gli sguardi "degli altri". Eravamo magnifici e affamati. Per gestire questo tipo di leadership ero stato risucchiato nel poggetto in maniera assoluta. Dovevo essere uno psicologo, un amico, delle volte persino un padre per i miei ragazzi. Sapevo che potevo costruire tutto questo e averne avuto la conferma mi porto' esattamente dove volevo essere: tre metri sopra le teste di tutte le persone che continuavano a dire che non sarei mai stato un buon leader perché' ero troppo "poco stronzo". La partita con il fato si stava mettendo bene. Avevo molte fiches e buone carte da poter usare.

Il pugile suonato non ero più' io.

Mi capita spesso di voltarmi e pensare a come possa aver fatto a gestire un periodo cosi' difficile. Poi penso al cassetto di mio padre. È li che devo aver trovato qualcosa che probabilmente ho conservato senza un perché' e che ho usato per resistere. Per diventare uomo. 

Mi piace pensare che non sia stato un caso. Mi piace pensare che papa' in quel cassetto, certe cose, ce le abbia messe di proposito.


domenica 22 gennaio 2023

LA TEMPESTA PERFETTA



 LA TEMPESTA PERFETTA



Non sai come e quando ti venga a cercare, ma prima o poi succede. Poco importa se abbia le sembianze della Dea bendata o sia avvolta da mantello di notte senza stelle. Certi appuntamenti non li hai presi te; nascono da qualche parte e da te vengono a morire.

Nonna Lucia mi diceva di cambiarmi le mutande ogni volta che uscivo. Diceva che non si sa mai cosa poteva succedere e che, se fossi andato a finire in ospedale, comunque avrei fatto una bella figura con delle mutande pulite! Fa ridere ‘sta roba, ma la morale e’ che non si sa mai che ti possa succedere… E’ importante farsi trovare pronti e… puliti 😅

Il percorso da vice-referente “diverso” stava prendendo forma. Temevo che essere gentile, garbato e disponibile poteva essere tradotto in debolezza, ma erravo. Stavo sottovalutando il cuore di coloro che avevo accanto. Anche le persone più “ruvide” si lasciarono sciogliere come neve al sole. Raggi di luce, rispetto ed educazione pervasero le loro gelide corazze perlopiù difensive.

Seminai valori uomini e raccolsi uomini di valore.

Questo mi aiuto’ nella gestione di quello che definisco “la tempesta perfetta”.

Il 15 marzo 2021 venne a bussare alla mia porta. Si presento’ come un giorno normale quasi ignaro che sarebbe diventato il mio 11 settembre. Intorno alle 14:00 la pressione sanguigna massima di mia madre balzo' oltre i 240 e qualcosa nel suo cervello non seppe reggere. Fu emorragia interna. Tutto quello che era racchiuso nel suo scrigno magico venne compromesso. Come in Titanic, il mare passo' inesorabile paratie, scompartimenti, pensieri, emozioni, ricordi e coscienza.

La stessa notte, mi ritrovai a Roma insieme a mio fratello e mia zia con mia madre in ospedale e mio padre da tempo invalido e con la mente in un mondo di cui solo lui possedeva le chiavi.


Non sapevamo nulla di come prenderci cura di lui, quali medicine prendesse ne tanto meno di quali cure avesse bisogno e l’unica persona in grado di aiutarci stava aggrappata ad una zattera nel mare gelido, guardando un tunnel con la luce da una parte e le voci dei dottori in sala operatoria dall’altra.

Fui costretto a diventare il padre dei miei genitori.

Tutto quello che mi avevano insegnato irruppe violento nel mio destino. Cercai da qualche parte una cabina del telefono, vi entrai e strappando la camicia di adolescente cresciuto, fui costretto a trasformarmi in un uomo. Da Clark Kent divenni Superman.

Imparai il vero significato di “problem solving”. Nel senso che, se non avessimo avuto la capacita’ di risolvere la situazione bene e immediatamente, mio padre sarebbe morto. Mia madre in mano ai dottori, mio padre in mano a noi.

Tick tack, tick, tack...reagisci, agisci, decidi. Cercammo tutti un Dio che pregammo e maledimmo. Il libero arbitrio, il caso, il destino... tre aspetti che vorticosamente presero in ostaggio le menti in un mulinello di consapevolezza e fede delle volte al contrario.

Ci mettemmo circa un mese, ognuno facendo la sua parte, ma portammo a casa un risultato incredibile.

Rovistammo in ogni cassetto dei miei nuovi figli e, per la prima volta in vita mia, benedissi la precisione maniacale di mia madre. Trovammo appunti dettagliati su qualsiasi cosa. Tutto era dove era logico che fosse.

Contattammo tutti i dottori trovati nell’agenda magica di mia madre, venimmo a capo di qualcosa come un piano di venti medicinali al giorno, tutti in orari collegati tra loro, gestiti da ben tre piani terapeutici divisi in tre strutture mediche diverse. Capimmo realmente cio' che mamma stava facendo per mio padre. Si era completamente annientata per assisterlo. Rabbia e ammirazione pervasero i nostri cuori. Dove era il confine tra essere cristiani, tra amare fino alla morte e il rispetto della vita stessa che Dio ha fatto in modo ci arrivasse? Un fiume con due emozioni come sponde:

quello ero io.

Per gestire mio padre fu necessario ingaggiare tre moschettieri. Hector, Giulia ed Allyson, rispettivamente badante h24, segretaria gestionale dei piani terapeutici e assistente alle pulizie di casa.

Passammo un mese nella tempesta. Mamma entrava ed usciva dalla terapia intensiva. Passava da un viaggio di sola andata con Beatrice e Dante ad uno di ritorno con Adriana di Rocky. Quando i dottori ci dicevano che forse ce l'avrebbe fatta, immaginavo il suo risveglio come nella mia scena preferita dell'intera saga di Rocky. Quella in cui Adriana si sveglia dal coma, guarda Rocky e gli dice che vorrebbe che lui facesse una cosa per lei. Gli dice "Vinci"...

Anche Dana, Iulia ed Alex vennero nella tempesta con me. Proprio accanto a me. A Roma. Ognuno fece la sua parte, anche non sapendolo.

Dopo un po' il maltempo sembro' placarsi. Hector fu istruito a dovere, I piani terapeutici erano sotto controllo e la pulizia di casa era garantita. Mamma ancora lottava guerre di silenzi, ma in quelle battaglie avevamo un ruolo da spettatori e non da attori al momento. Eravamo nelle mani dei dottori che a loro volta erano nelle mani di Dio.

Dopo circa quattro settimane, fui quindi in grado di tornare dai “miei” ragazzi a lavoro. Dopo quello che avevo passato, quello che mi sembrava un lavoro complicato assunse connotazioni molto più rassicuranti… In fondo cosa altro poteva capitarmi di più difficile?

Detto fatto. Il referente primario si infortuno’ ed il suo vice si ammalo’.

Simultaneamente.

In pratica, mi ritrovai da terzo referente/jolly a referente unico di circa 75 persone, con un padre malato lontano 600km e una madre in coma.

Sembrava di essere come in un film, anzi mi sentivo parte di un trailer, dove tutti gli avvenimenti si susseguono velocemente tra musiche ad effetto e primi piani ammiccanti.

Il film vero e proprio sarebbe uscito molto presto nelle sale...

Era la resa dei conti. Il tempo per le domande era finito.

Il mio modo di concepire la leadership avrebbe funzionato o sarei stato mangiato?

Nessuno dei miei superiori credeva pienamente che io fossi pronto a gestire la situazione e questo mi diede quel boost che fece la differenza.

Quello che non ti annienta ti fortifica.

I ragazzi e me da quel momento fummo una sola cosa. Qualcosa di magico era nell’aria. Tutto funziono’ alla perfezione. Loro colmarono le lacune logistiche che ovviamente ancora avevo, e io gli davo l’anima in cambio. Fu una guerra in trincea senza esclusioni di colpi; un solo "noi" contro tutto e tutti, sempre dividendo a meta’ il cuore con l’incubo che stavamo vivendo insieme a tutta la mia famiglia.

Ricordo che gli unici momenti di pace li trovavo la sera, tra le carezze di mia moglie, accovacciato in grembo su di lei.

Figlio di mia moglie e padre dei miei genitori.