venerdì 10 maggio 2024

VIA ANASTASIO II 325

 

VIA ANASTASIO II 325

 

Tramonto, Il sole giocava a nascondino tra i palazzi in “Prati” quel giorno a Roma. Sembrava diventato rosso solo per me. I km macinati con la fida Sandero nera erano stati distratti da dedali di  pensieri, ricordi, rimpianti e gioie. Casello dopo casello, ero arrivato da dove tutto era partito.

Le amiche chiavi in tasca si lasciarono trovare, il portone che accolse di me innumerevoli ritorni non pose resistenze. L’ascensore con le scritte lasciate chissà da chi era pronto ad aprire il proprio sesamo. Secondo piano. Mentre aspettavo lo specchio restituiva debiti di verità. Ero finalmente nel pianerottolo. Filtrava una luce grigia dalle finestre dell' androne. Mi accolse rispettosa ma non sorpresa.

Due mandate alla porta graffiata. Ricordo ancora il giorno in cui venne ferita. Io e Federica non eravamo più fidanzati da un po’. Lei venne a sapere che ero in casa con un’altra ragazza e la porta, stoica, mi salvò dalla furia sbagliata di un amore acerbo. Il “click” della serratura mi riporto’ con i piedi in terra.  La luce grigia, titubante, entrò pian piano in casa. Ricordo l’odore che non ricordavo di ricordare. L’odore di luoghi a cui appartieni. L’odore della casa di mamma e papà.

Mi aspettava un compito di quelli che per capirli, li devi vivere. Avevo 20 giorni per liberare casa da tutta la vita che fu.

Finalmente entrai e una parte di me, inevitabilmente, li vide ancora li. Papà stava guardando distratto la  TV e mamma era in cucina con il grembiule liso, i capelli sempre in ordine e quel sorriso che mi sono portato via.

Svuotare casa per venderla fu come  giocare ad una specie di puzzle al contrario dove lo scopo era di ridurre a pezzetti ciò che era stato costruito.

In quei giorni, in quelle notti, non so bene in che modo, successe qualcosa di speciale.

Finalmente fui in grado di capire, di vedere, di sentire.

Era tempo che chi mi vuole bene mi diceva che stavo esagerando nei miei impegni. Era tempo che in tutti i modi cercavano di farmi capire che stavo tirando troppo la corda. Ma finché non lo “senti” davvero non riesci a capire. Mi era già successo con Federica, la mia prima fidanzata, la giustiziera di porte blindate. Era chiaro a tutti che non poteva essere la mia anima gemella, me lo dicevano in tanti che non era quella giusta, ma io non volevo vedere ne sentire. Un po’ come quando ti vogliono costringere a dimagrire, ad andare in palestra o a leggere un libro. Finché non scatta qualcosa dentro, sei come incatenato alla percezione che vuoi avere di te. Sei in una specie di Truman show personale in cui esiste una versione di te che non sei te.

In quei 20 giorni, solo tra scatoloni, foto e scampoli di infanzia qualcosa fece “click”. Rilessi il mio blog in cerca di qualcosa che neanche sapevo. Mi resi conto che erano ormai anni che finivo in un loop di progetti ambiziosi per l’illusione di essere importante. Ma per chi? E perché? Essere manager, referente o leader mi faceva sentire Rocky sulle scale di Philadelphia, Tyson al Madison Square Garden, Totti all’olimpico. Mi faceva guerriero contro insicurezze di figlio voluto ma venuto al mondo per caso. Di bimbo prima troppo magro e poi troppo grasso. Di bimbo cresciuto con i nonni forse perché non abbastanza bravo per meritarsi la vita con i genitori che invece avevano gli atri. 20 giorni per essere in ascolto, parlare non si sa bene con chi e liberarsi dal labirinto di un subconscio finalmente diventato vigile. Forse mamma mi fece arrivare la sua ultima lezione, il suo ultimo dono d’amore. Lei infatti non volle ascoltare nessuno, non diede peso agli acciacchi che anche la sua vecchiaia iniziava a reclamare. Lei non si fermò e non accetto’ aiuti. Continuò a prendersi cura di papà contro tutto e tutti. Lei era rimasta incatenata in qualche luogo, prigioniera del suo ruolo, di ciò che pensava di dover essere. Questo a me non sarebbe dovuto accadere. Misi una pietra sopra a quello che fu. Le mani si aprirono e mollarono la presa. Lasciarono andare quella corda diventata pericolosamente troppo tesa. Decisi che era tempo di perdonare, di lasciare andare, di accogliere debolezze per trasformarle in consapevolezze.

Fu come ritornare alla casella del “via” del Monopoli.

Mi alzai nuovamente in piedi, assassino di vecchi alibi, padre di prospettive neonate. 

Fu "RESET”.


Decisi di lasciare il posto di team leder. Decisi di donare il mio tempo a chi a me si era donato. Non avrei più inseguito ruoli con cui riempirsi la bocca. Non mi sarei più cacciato in progetti puttane con l’illusione di qualcosa che invece poi alla fine chiede il conto.

Il dado era tratto, gli scatoloni pronti, i 20 giorni finiti.

Sarei uscito da quella casa per l’ultima volta. Mi voltai ancora. La casa era ormai vuota, ma ancora piena di noi. In qualche modo era comunque tutto in ordine. Quella volta fu la luce di casa ad invadere il pianerottolo. Quella volta l'androne da grigio diventò di sole.

Era mattino presto.

Era la nuova alba.


domenica 31 marzo 2024

IL CAVALLINO DAL MANTELLO D’ORO

 

"IL CAVALLINO DAL MANTELLO D’ORO"

 

Sette Aprile 2022 ore 4:50 am

"Pronto, parlo con Daniele Calarco?"

"Si"

"E' il figlio di Rosangela Ramelli?"

"Si"

"Mi dispiace informarla che alle 3:30 am sua madre è deceduta per complicanze respiratorie"

 

Erano le 4:51, chiusi il telefono e da quel momento, in una parte di me, sarei stato per sempre solo.

 5/06/22 2AM

Perché non sono stato abbastanza. Non  abbastanza uomo da costringerti a essere aiutata e non abbastanza figlio da poterti salvare.

Forse non sono quella persona che pensavo di essere.

Possa qualsiasi Dio esista perdonarmi. Ho molta strada da fare per diventare ciò’ che avrei voluto già’ essere.

Arriverà il giorno in cui mi inginocchierò a te per chiederti perdono. Perdono per essere stato il figlio che hai cresciuto.

06/12/22

Se potessi ti suonerei questi pensieri con quella chitarra che volevi studiassi, ma che poi non ho mai imparato. Facciano finta che quella chitarra non l' abbia venduta e che oggi possa essere bravo a suonare melodie dolci come carezze e vere come quegli sguardi occhi negli occhi solo nostri e sempre nostri

14/09/23

“ lungo i pascoli del ciel cavallino va…Tutto d’oro il suo mantel nell’immensità…” Non sei mai stata banale, in nessuna scelta. Anche la ninna nanna che mi cantavi è speciale. Una poesia di Renato Rascel.

Quando “sento freddo” e sono impaurito è a questo che penso.

Se ora hai paura, se ora hai freddo, pensa a questo. In qualche modo, da qualche parte, saremo ancora insieme

 

25/12/23

Che ne sanno gli altri. Che ne sanno di noi. Piange il bambino che ancora non capisce, li ascolta e si lascia lacerare. Grida l’uomo della scelta. Vivo insieme al dubbio che mi respira dentro. Convivo con demoni che violentano l’anima.

 

15/02/24

Come una poesia lasciata a metà, cerco  parole tra pieghe di vestiti stropicciati e sospiri di innamorati. Le cerco ovunque, perché è lì che potresti avermele lasciate. Le riconoscerò in qualche modo, per gli altri saranno solo orfani dettagli, ma per me saranno versi. Ne farò per te  magia.

 06/03/24

Di solito so usare le parole. Faccio in modo che loro scelgano me. Di solito. Ma non ora. C'è troppo caos per sentire, troppo rumore per ascoltare Sono due anni che sono bloccato in questo limbo, e nulla credo ormai cambierà. Credo che questa roba si chiami “elaborazione del lutto” e non cercherò di controllare quello che sento. Non più. Lascerò che mi attraversi e che esca come vuole lui.

Ed eccomi qui con te in cameretta. Tu che accarezzandomi mi spieghi le la vita. Carezze che sussurrano lezioni  giocando a nascondino con favole. Ed ecco che ora sono in cucina. Finalmente insieme dopo mesi. Tu con il grembiule da cuoca che mantechi una gigantesca pentola di linguine con le vongole. Veraci. Veraci come te. Era il tuo benvenuto, era il tuo amore.

Poi eccomi a tenerti la mano in ospedale. Tu che sei chissà dove e io che ti cerco. Voglio trovare ancora te in te, ma non ti vedo. Sei ancora te, ma non lo sei più.

Di nuovo indietro nel tempo. A villa borghese che mi tieni la mano sul pony. Poi eccoti ad Amsterdam con Papà. Vi vengo a prendere in aeroporto. Mentre aspetto vedo la gente che si abbraccia e piange, poi arrivate voi e tutto si unisce. Piango, ti abbraccio e mi sento a casa.

Delle volte è un sasso che mi porta giù nel mare, delle altre volte è amore che mi fa volare. Sono strattoni improvvisi, flash di irriverenti paparazzi in agguato. Mi piace pensare che quando capiti sia una specie di connessione tra dove sei tu e dove sono io. Certamente sei ancora da qualche parte. Ti sento e so che tu senti me. Siamo energia zingara.

Continuo ad agire cercando la tua approvazione. Continuo a cercarti in rubrica. Continuo a cercare di renderti orgogliosa. Sei importante, ti porto dentro con me.

 31/03/24

Facciamo che questo tempo non esista. Facciamo che non esistano regole. Facciamo che sono tornato bambino nel letto della cameretta. Te che intoni la canzoncina del cavallino dal mantello d’oro e io che riesco ancora  a vederlo. Facciamo che ci sia un appuntamento tutto nostro strappato a questo destino che d’improvviso è diventato assassino. Eccomi a te, sono un uomo ora ma ti prego canta ancora per me. Io quel cavallino lo voglio ancora vedere…

Mamma, ti devo parlare, forse lo sai già e questo momento lo stavi aspettando da ovunque tu sia ora. Forse hai sentito le mie mute grida, la notte, prima di addormentarmi. Scusa se sono stato l’uomo che mi hai insegnato a essere. Scusa se ho usato la ragione e non la pancia…proprio con te che sei al di la della mente. Scusa se mi sono trovato piccolo piccolo, impaurito ed egoista. Scusa se non sono stato abbastanza gigante al tuo cospetto.

Facciamo che mi stai guardando negli occhi ora. Facciamo che ci stiamo stringendo forte forte mentre fuori piove ancora. Facciamo che io inciampi in un'altra possibilità. Facciamo che sei a casa malata. La coperta rossa che ti tiene al caldo. Facciamo che ti tengo la mano mentre te ne vai via. Facciamo che ti canto del cavallino lungo i pascoli del cielo. Ti prego dimmi che è possibile perché non so se posso aspettare un’altra vita per farlo. Facciamo anche che mi dici che sono un cretino a pensare tutto questo casino e che sei orgogliosa delle scelte che ho fatto.

E ora che sei libera facciamo che in questo “adesso” tutto possa accadere. Fai di me ancora il bimbo a cui spiegavi la vita, accarezzami il capo chino sulle tue ginocchia, concedimi ancora una volta quell’amore incondizionato e senza giudizio che solo una mamma sa dare.

Portami via con te “lungo i pascoli del ciel...”