Mani sporche.
Spesso mi sono ritrovato a guardare mani. Le mie e quelle
degli altri.
Le mani narrano storie senza voce.
Io detesto avere mani sporche. Lo detesto.
Eppure in questi tre anni le mani sporche mi hanno
portato al DOVE sono in questo momento, e soprattutto al COME sono in questo
momento e, dannazione, ne sono fiero!
Ricordi, molliche di vita su tavola sempre e, nonostante
tutto, bianca.
Flash di questo incredibile periodo mi vengono a cercare
e oggi ho deciso di farmi trovare.
Essere Corriere ha rappresentato una nuova sfida, l’ennesima. Ricordo che non sapevo nemmeno guidare un furgone. Non conoscevo il territorio ne il mestiere.
Io e le mie mani pulite spesso in guanti bianchi, ci
siamo ritrovati davanti ad una realtà ruvida, fottutamente pratica e spietata.
Il mio essere "Hilton" doveva radicalmente
cambiare.
Niente più giri di parole, falsi servilismi. Nella
logistica tutto è diretto, veloce e pragmatico, come un buon Amarone: niente
scorciatoie... lo assapori e il tannino ti porta dove vuole lui.
Delle volte, tuttavia, capita che il fato ti serva sapori
diversi ed è questo, anche se raro, che in realtà ha fatto la differenza nella
mia esperienza.
Ricordo quella volta che, per consegnare uno stendino in un posto dimenticato da Dio, chiesi delle indicazioni ad un operaio che stava scavando con la ruspa. C'erano quaranta gradi, il suo viso era nascosto tra rughe nere come la notte. Quando l'ho distolto dal suo lavoro mi è parso di averlo quasi svegliato da una specie di torpore figlio di malinconia, sogni a metà e sudore. Mi ascolto', si rese conto che per raggiungere il posto che cercavo avrei dovuto cercare un paio di monete da dare a Caronte perché, con quel caldo e con tutta quella strada in salita da fare, è nell'inferno che sarei dovuto scendere...
Cosi, smise di scavare e porto' la pala meccanica fino a
me. La cosa era talmente inverosimile che funziono'. Lo stendino ed io entrammo
nella "grossa mano di ferro" e insieme raggiungemmo la destinazione
della signora dai panni bagnati in mano grazie al passaggio più bello di cui
mai ho goduto. La logistica è cosi'. Sporca e faticosa, ma con delle sfumature
di vita vissuta, di vita dal sapore vero che ti fanno sorridere, che ti aprono
il cuore e sanno cambiare da salato a dolce il sapore di sudore che invadente
bacia labbra aride.
Ricordo quella volta in quel buio pomeriggio di dicembre
in cui mi trovai nel bosco, con la neve, per una delivery presso una baita.
Dopo aver orgogliosamente consegnato, credo una stufa elettrica a quella che mi
piace pensare essere stata la nonna di Cappuccetto Rosso (prima di aver
incontrato il lupo) mi resi conto che non avrei mai trovato un piazzale in cui
fare manovra per tornare indietro. Fui costretto ad una retromarcia di quaranta minuti in un sentiero innevato, scosceso e pericoloso come le labbra al
rossetto rosso di Lolita. Anche Vodafone mi aveva abbandonato lasciando il mio
fedele motorola G7 muto e stordito come un bambino in castigo. Ero
solo, con un Mercedes Vito a trazione posteriore (oltretutto!) in mezzo al
nulla, procedendo al contrario avendo come unici riferimenti gli specchietti
laterali e il bianco della neve che rifletteva la luce della
retromarcia.
Ricordo che pensai che potessi fare la fine di Paul
Sheldon in "Misery non deve morire", ma poi realizzai che non ero
affatto uno scrittore famoso e questa cosa, per una volta tanto, mi sollevo'...
Vito ed io, dopo quasi un ora di sospiri, manovre e
sguardi complici tra gli specchietti, arrivammo sani e salvi sulla strada
principale. Ricordo che scesi dal fedele Benz e mi inginocchiai nella neve
mentre le quattro frecce accese lampeggiavano intermittenti tra emozioni
finalmente calde.
Ricordo quella vota che Giulia, una bambina di circa sei
anni, mi accolse come un eroe perché le avevo portato il suo regalo di
compleanno… una fiammante bici di Barbie rosa.
Era li ad aspettarmi, con il viso contro il cancello a
rete. Quando mi vide, si girò verso la mamma e la chiamò con tutto il fiato
che aveva in corpo. Quel bel visino bimbo e paffutello ancora aveva i segni del
cancello che la teneva prigioniera fino ad un attimo prima. Ancora lo ricordo,
ancora sento i brividi rincorrersi sulla pelle d'oca.
In quel momento non ero un corriere. In quel momento ero un supereroe, ero un padre di una figlia che forse in un altra vita sarà la mia, ero un Babbo Natale vestito dei colori del cielo!
Ero al centro del mondo.
Ricordo una Coca Cola regalatami dalla signora Maria, ad
Agosto. C’erano quarantadue gradi, le ho consegnato un’aspirapolvere e lei, insieme ad
uno sguardo da nonna… mi ha regalato quella bibita fresca che mi ha dissetato
fin dentro l’anima.
Ricordo di quella volta che accettai di aspettare più di
dieci minuti per un contrassegno semplicemente perché il cliente dai capelli
bianchi e le buone maniere me lo chiese gentilmente. Quella gentilezza di altri
tempi. Se fosse stata musica, sarebbe stata quella di un violino. A me il
violino piace. Mi porta via con se in vecchi film in bianco e nero da vedere di
notte, quando tutto va più piano.
Quando fai un lavoro prettamente fisico, faticoso e a
volte rischioso, se qualcuno ti aiuta, ha un altro “peso”. Quando una mano
sporca e stanca viene tesa per aiutare la tua, ebbene quel connubio diventa
indissolubile.
Due mani stanche si stringono più forte.
Ovviamente ho stretto anche mani false, mani meschine e
mani grandi grandi di uomini piccoli piccoli. Questo fa parte del gioco, di qualsiasi
gioco. La cosa un pò speciale di questa storia però è che non riesco a
portare rancore. Anzi.
Questa esperienza mi ha fatto benissimo. Sono diventato
un incassatore. Ho imparato a lasciare andare. Ho imparato a perdonare perché è solo lasciando andare le zavorre che si è liberi di volare via.
Sudore, fatica, crampi a gambe mai allenate abbastanza,
brividi di freddo, tepori di amicizie vere, sorrisi di bambini... Questo è quello di cui è fatto questo lavoro. Poi c’è il rispetto, quello vero. Quello
che in certi ambienti, se lo guadagni, non lo perdi più.
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