giovedì 3 aprile 2025

RESET

"Reset"


E come lo chiudi un blog che poi vuoi diventi un libro?

Iniziamo dal motivo per il quale voglio che succeda. Pubblicare un libro è da sempre un sogno nel cassetto e, da un po', i cassetti sono amici. Fantasticavo di  scrivere romanzi di fantascienza, o romanzi romantici, o romanzi di fantascienza romantici e poi...E poi, alla fine, il romanzo sono diventato io.

Ero in Netherlandia, lontano da casa e volevo condividere i miei casini con la famiglia rimasta in Italia facendo quello che mi viene da sempre più naturale. Scrivendo. Poi ho visto che la mia stramba avventura da expat iniziava a coinvolgere altri 40enni matti in giro per l'Italia e quello che è iniziato come una specie di diario è diventato un veicolo di ispirazione. Poi il covid, il ritorno a casa, la morte di mamma e papà e poi il nuovo me. Da diario a blog e da blog a diario. Andata e ritorno in un casino durato 10 anni.

 Non so se il destino è una roba già scritta o se la scriviamo noi ogni volta, ma un paio di cose sono certe per quanto mi riguarda. 

Senza l'esperienza estera non sarei stato in grado di gestire la perdita di mamma e papà e senza il processo di questi lutti non sarei stato in grado di dire dei "no" pesanti che alla fine hanno plasmato ciò che sono oggi.

La comfort zone è bellissima, ma per godersela sul serio la devi prima sacrificare. Essere all'estero, fuori dalla famosa comfort zone è disarmante, avvilente, dannatamente difficile. Essere "gli altri" è stato però illuminante. Mi ha aperto la mente. Concetti come razzismo, prevaricazione sociale e patria mi sono venuti addosso come un frontale in autostrada. Da aleatorio, da teorico a cazzotto in faccia nel giro di due ore di Easyjet. Senza Dana avrei mollato dopo 3 mesi. Senza di lei non sarei nulla di quello che sono. Anche il nostro rapporto è passato al "livello successivo" in Olanda. Li, giocavamo alla pari. Entrambi pesci fuor d'acqua, entrambi ridotti a stereotipi del cazzo. La bella escort dell'est e il mafioso italiano. Sale grosso su ferite aperte. Bandiere da colori improvvisamente sbagliati .Ci devi passare per capire.

Ci sono passato e ho capito quello che mia moglie ha fatto per me venendo in Italia 20 anni prima. L'ho sempre considerato, ma viverlo sulla pelle è un'altra roba. La percezione del suo amore, dopo tutto ciò, è stata totalizzante. Averla accanto in un momento del genere è stato essenziale. Lei poesia, io scrivano, lei materia io artigiano, lei musica, io musicante. L'ho sempre avuta al mio fianco, ma è solo in Olanda che l'ho vista sul serio. Ho lasciato a Leiden il ragazzo italiano e sono tornato a Como da uomo europeo. Pensavo di aver meritato un po' di pace, ma poi è andata come andata. Il covid, il lutto, il burnout. Battaglie complesse, ma combattute con le armi giuste. Perché quando l'unica scelta che hai è quella di essere forte, forte ci diventi. Abolisci i "se" e punti direttamente al "quando".

 In dieci anni ho cambiato due nazioni, lavorato nelle telecomunicazioni, nell'ospitalità di alto livello, poi nella logistica e infine sono diventato un piccolo imprenditore di gioia. Sono entrato e uscito indenne da una pandemia mondiale scegliendo di non vaccinarmi, ho perso amici, ma ne ho trovati altri, sono diventato un papà più permissivo e un marito più maturo. Sono ingrassato un po', non vedo più un cavolo da vicino e spesso non sopporto la gente, specialmente al mattino.




Guido una Dacia, sorrido compiaciuto nel pensare che sia la mia donna che la mia macchina sono rumene, me ne sbatto di non possedere auto costose o di vestire  firmato. Mi piace la sensazione che provo mentre guido quando torno dal lavoro, non vedo l'ora di essere a casa per ascoltare, a tavola, le giornate di Iulia che mi racconta degli occhi dolci di improbabili principi azzurri e Alex che dopo si mette a giocare e fa dei rumori da radio rotta. E poi c'è l'universo parallelo da vivere dopo aver spento la luce del comodino. Solo Daniele e Dana, come sempre e per sempre. Amo la mia routine, amo la mia comfort zone. Me la sono guadagnata...
Ho quasi 50 anni, mi addormento sul divano mentre guardo i film, mi fanno felice gli orsetti Haribo, se una canzone mi piace la canto come un pazzo spesso in macchina facendo delle significative figure di merda, spendo tutto quello che posso in viaggi, parlo con le mucche mentre vado a lavoro, uso
la punteggiatura anche su whatsapp, aborro l' intelligenza artificiale, non aggiorno il software di nulla, ho la stessa foto scattata da Iulia nel 2012 in tutti i profili dei  social, la mia canzone preferita è ancora "cenerentola innamorata" di  Marco Masini, accetto tutti i cookies che mi vengono offerti perché  "sennò pare brutto", rispondo con educazione a improbabili tizi che mi vogliono fregare in qualsiasi modo telefonando sempre nei momenti più assurdi, mi compiaccio quando mi dicono che sono un boomer e il momento più bello del weekend è ancora il rito del  caffè che mi porta mia moglie sul divano dopo colazione.

Ho quasi 50 anni, cerco di essere migliore di ieri e peggiore di domani, mi piace essere gentile, lavoro per vivere e non più il contrario. Ho imparato a dire "no" ma sto lavorando ancora sul fatto che mi sento una merda per aver detto quei "no" .



Sono imperfetto e nella consapevolezza di esserlo rinasco ogni giorno cercando la felicità in ciò che sono, in ciò che ho e soprattutto in ciò che posso dare. Ancora e nonostante tutto da figlio, con occhi di bimbo, mani da uomo e cuore di padre. Tutto questo ha ispirato qualcuno? Lo farà? Non ne ho idea. Infondo questo strano libro è solo un sogno uscito fuori dal cassetto. Non voglio insegnare nulla a nessuno. Di sicuro però non sono un leone da tastiera che spara cazzate motivazionali in cerca di like. Nessuna finzione. È tutto dannatamente vero. Mi sono messo in gioco, mi sono "buttato" e ho trovato la felicità senza neanche sapere che la stessi cercando. Provare, agire, combattere, imparare, sbagliare, scegliere, amare. Cambiare. 

                                                        E se poi non funziona?

                                                                        Ricominciare. 

                                      C'è una parola in inglese che racchiude tutto questo.

                                                                     La parola è "reset".




 

domenica 9 febbraio 2025

LA ROSA BLUTIQUE"

 " La Rosa Blutique"



Succede. Delle volte succede e basta. Si apre la porta. Tutto entra e tutto esce. Tutto rallenta. Sembra di essere dentro la scena di Matrix in cui Neo vede tutto andare in slow motion…Mi lascio attraversare da debolezze vagabonde e magnificenze di amore rosso fuoco. Li fuori si parla d'inteligenza artificiale, di confini, di mura, di gender, di guerra e io vedo tutto così piccolo. Sono nel mio mondo boomer e mi piace. Ho quasi 50 anni e mi ci trovo dentro come in un buon paio di Nike. Se a 40 anni sai quello che non vuoi, a 50 sai quello che vuoi e, se sei fortunato, sai cosa fare per ottenerlo. E’ come essere l’incognita di un’equazione riuscita i cui fattori interagiscono tra loro senza neanche conoscersi. Non mi interessa più vincere ed essere male.Nel dubbio,

 combatto, ma per perdere ed essere bene. L’ho capito da quando ho spento le candeline del mio quasi 50esimo compleanno. Prima di spegnerle, come ogni anno, ho cercato il desiderio da esprimere. Immagino questo momento come una specie di buco spazio temporale dove si torna bambini e si va, cavalcando un unicorno, in un posto colorato pieno di cassetti da aprire con all’interno caramelle, giocattoli e sogni da realizzare. Per la prima volta nella mia vita, di cassetti, ce ne erano giusto un paio. E questo è tanta roba. Ho realizzato di essere felice del mio presente. Sto parlando di quella roba che ti viene fuori direttamente dalla pancia. Sono felice, a modo mio.

Ho finalmente metabolizzato il passato con tutto quello che è stato e ho capito che l’unico modo per onorarlo è migliorare. Fare del bene. Essere la migliore versione di se stessi. Ho realizzato che siamo tutti figli della stessa madre energia. Ho smesso di cercare frequenze non mie. Ho iniziato a vibrare di me stesso e tutto è stato finalmente così chiaro. Lasciarmi suonare ha permesso di lasciarmi ascoltare. Sono riuscito a socchiudere pericolosi armadi con scheletri di vita in cui sono stato figlio per accogliere di padre scelte. Tutto questo mi ha portato ad aprire il cassetto più vicino dei due o tre che vedevo. Dentro sapevo che avrei trovato un ponte. Un ponte tra essere stato figlio ed essere padre. Ponte, tra passato e futuro. Eccolo il mio desiderio. Il progetto di sempre. Il progetto del cuore. Con il cuore. Dana e io, dopo tante ricerche, trovammo un appartamento pieno di luce, a un passo da noi. Sarebbe piaciuto a mia madre e a mio padre e tanto è bastato per fare in modo che quello che ci avevano lasciato fosse speso per comprare quello che sarebbe diventato un sogno realizzato, un percorso tra immortalità di passato e luce di prospettive.

Trasformammo con le nostre mani (e con quelle di qualche buon amico) quattro mura in “la Rosa blutique guest house”. Tutto in questo progetto ha avuto un senso. Ogni minimo dettaglio ha un motivo di esistere. Dal nome in ricordo del fiore che per mamma aveva un significato particolare, all’attenzione per la qualità a dispetto della quantità, concetto di cui sono stato nutrito alla tavola degli insegnamenti passati. Se le cose fossero andate come la ragione avesse suggerito, mamma sarebbe dovuta venire a vivere ad un passo da me dopo che papà si fosse arreso alla malattia. Avrebbe continuato a fare la nonna e la mamma. Avrebbe dovuto avere una seconda possibilità per crescere un nipote con lo stesso sangue del figlio che la vita non le aveva permesso di viversi pienamente.
Ma il destino delle volte viene scritto da mani ignare con calamai neri e inchiostri rossi d'inferno e le cose sono andate diversamente. Ebbene, quel posto a mia madre, lo abbiamo comprato ugualmente. Dentro ci abbiamo messo tutto ciò che di buono abbiamo avuto in dono. La nostra missione è stata ed è quella di valorizzare tutta questa strana magia fatta di rabbia, rivalsa e speranze. Dentro ci abbiamo messo questo nostro tesoro di famiglia, fatto del piacere di donare, di ospitare. Di vivere il prossimo.

Questo ha richiesto e richiede tante energie, ma ha portato a fare tutta la differenza del mondo tra avere un business e viverlo, sentirlo. Abbiamo costruito un sogno, un lavoro, usando emozioni e mattoni. Come tanti piccoli pezzettini di lego colorati, abbiamo costruito una guest house. Il ponte. Il successo di quello che è di fatto diventato parte della nostra vita non ci ha sorpreso più di tanto perché in realtà non lo abbiamo mai rincorso. Le persone che vengono da noi beneficiano del nostro tempo e noi del loro. I soldi sono un dettaglio. Sono semplicemente necessari per alimentare un circolo virtuoso in cui emozioni e tempi dipingono tele di eternità. Ho quasi 50 anni, sono un figlio cresciuto bene, un marito innamorato, un padre orgoglioso e un sognatore di mondi diversi. In ascolto di me stesso, suono melodie di me in giro per chi vuole ascoltarle. Non so come si chiama questa roba qui, forse non si chiama, forse è più semplice di quel che sembra. Forse quel bambino di quasi 50 anni fa è finalmente felice di me.



venerdì 10 maggio 2024

VIA ANASTASIO II 325

 

VIA ANASTASIO II 325

 

Tramonto, Il sole giocava a nascondino tra i palazzi in “Prati” quel giorno a Roma. Sembrava diventato rosso solo per me. I km macinati con la fida Sandero nera erano stati distratti da dedali di  pensieri, ricordi, rimpianti e gioie. Casello dopo casello, ero arrivato da dove tutto era partito.

Le amiche chiavi in tasca si lasciarono trovare, il portone che accolse di me innumerevoli ritorni non pose resistenze. L’ascensore con le scritte lasciate chissà da chi era pronto ad aprire il proprio sesamo. Secondo piano. Mentre aspettavo lo specchio restituiva debiti di verità. Ero finalmente nel pianerottolo. Filtrava una luce grigia dalle finestre dell' androne. Mi accolse rispettosa ma non sorpresa.

Due mandate alla porta graffiata. Ricordo ancora il giorno in cui venne ferita. Io e Federica non eravamo più fidanzati da un po’. Lei venne a sapere che ero in casa con un’altra ragazza e la porta, stoica, mi salvò dalla furia sbagliata di un amore acerbo. Il “click” della serratura mi riporto’ con i piedi in terra.  La luce grigia, titubante, entrò pian piano in casa. Ricordo l’odore che non ricordavo di ricordare. L’odore di luoghi a cui appartieni. L’odore della casa di mamma e papà.

Mi aspettava un compito di quelli che per capirli, li devi vivere. Avevo 20 giorni per liberare casa da tutta la vita che fu.

Finalmente entrai e una parte di me, inevitabilmente, li vide ancora li. Papà stava guardando distratto la  TV e mamma era in cucina con il grembiule liso, i capelli sempre in ordine e quel sorriso che mi sono portato via.

Svuotare casa per venderla fu come  giocare ad una specie di puzzle al contrario dove lo scopo era di ridurre a pezzetti ciò che era stato costruito.

In quei giorni, in quelle notti, non so bene in che modo, successe qualcosa di speciale.

Finalmente fui in grado di capire, di vedere, di sentire.

Era tempo che chi mi vuole bene mi diceva che stavo esagerando nei miei impegni. Era tempo che in tutti i modi cercavano di farmi capire che stavo tirando troppo la corda. Ma finché non lo “senti” davvero non riesci a capire. Mi era già successo con Federica, la mia prima fidanzata, la giustiziera di porte blindate. Era chiaro a tutti che non poteva essere la mia anima gemella, me lo dicevano in tanti che non era quella giusta, ma io non volevo vedere ne sentire. Un po’ come quando ti vogliono costringere a dimagrire, ad andare in palestra o a leggere un libro. Finché non scatta qualcosa dentro, sei come incatenato alla percezione che vuoi avere di te. Sei in una specie di Truman show personale in cui esiste una versione di te che non sei te.

In quei 20 giorni, solo tra scatoloni, foto e scampoli di infanzia qualcosa fece “click”. Rilessi il mio blog in cerca di qualcosa che neanche sapevo. Mi resi conto che erano ormai anni che finivo in un loop di progetti ambiziosi per l’illusione di essere importante. Ma per chi? E perché? Essere manager, referente o leader mi faceva sentire Rocky sulle scale di Philadelphia, Tyson al Madison Square Garden, Totti all’olimpico. Mi faceva guerriero contro insicurezze di figlio voluto ma venuto al mondo per caso. Di bimbo prima troppo magro e poi troppo grasso. Di bimbo cresciuto con i nonni forse perché non abbastanza bravo per meritarsi la vita con i genitori che invece avevano gli atri. 20 giorni per essere in ascolto, parlare non si sa bene con chi e liberarsi dal labirinto di un subconscio finalmente diventato vigile. Forse mamma mi fece arrivare la sua ultima lezione, il suo ultimo dono d’amore. Lei infatti non volle ascoltare nessuno, non diede peso agli acciacchi che anche la sua vecchiaia iniziava a reclamare. Lei non si fermò e non accetto’ aiuti. Continuò a prendersi cura di papà contro tutto e tutti. Lei era rimasta incatenata in qualche luogo, prigioniera del suo ruolo, di ciò che pensava di dover essere. Questo a me non sarebbe dovuto accadere. Misi una pietra sopra a quello che fu. Le mani si aprirono e mollarono la presa. Lasciarono andare quella corda diventata pericolosamente troppo tesa. Decisi che era tempo di perdonare, di lasciare andare, di accogliere debolezze per trasformarle in consapevolezze.

Fu come ritornare alla casella del “via” del Monopoli.

Mi alzai nuovamente in piedi, assassino di vecchi alibi, padre di prospettive neonate. 

Fu "RESET”.


Decisi di lasciare il posto di team leder. Decisi di donare il mio tempo a chi a me si era donato. Non avrei più inseguito ruoli con cui riempirsi la bocca. Non mi sarei più cacciato in progetti puttane con l’illusione di qualcosa che invece poi alla fine chiede il conto.

Il dado era tratto, gli scatoloni pronti, i 20 giorni finiti.

Sarei uscito da quella casa per l’ultima volta. Mi voltai ancora. La casa era ormai vuota, ma ancora piena di noi. In qualche modo era comunque tutto in ordine. Quella volta fu la luce di casa ad invadere il pianerottolo. Quella volta l'androne da grigio diventò di sole.

Era mattino presto.

Era la nuova alba.


domenica 31 marzo 2024

IL CAVALLINO DAL MANTELLO D’ORO

 

"IL CAVALLINO DAL MANTELLO D’ORO"

 

Sette Aprile 2022 ore 4:50 am

"Pronto, parlo con Daniele Calarco?"

"Si"

"E' il figlio di Rosangela Ramelli?"

"Si"

"Mi dispiace informarla che alle 3:30 am sua madre è deceduta per complicanze respiratorie"

 

Erano le 4:51, chiusi il telefono e da quel momento, in una parte di me, sarei stato per sempre solo.

 5/06/22 2AM

Perché non sono stato abbastanza. Non  abbastanza uomo da costringerti a essere aiutata e non abbastanza figlio da poterti salvare.

Forse non sono quella persona che pensavo di essere.

Possa qualsiasi Dio esista perdonarmi. Ho molta strada da fare per diventare ciò’ che avrei voluto già’ essere.

Arriverà il giorno in cui mi inginocchierò a te per chiederti perdono. Perdono per essere stato il figlio che hai cresciuto.

06/12/22

Se potessi ti suonerei questi pensieri con quella chitarra che volevi studiassi, ma che poi non ho mai imparato. Facciano finta che quella chitarra non l' abbia venduta e che oggi possa essere bravo a suonare melodie dolci come carezze e vere come quegli sguardi occhi negli occhi solo nostri e sempre nostri

14/09/23

“ lungo i pascoli del ciel cavallino va…Tutto d’oro il suo mantel nell’immensità…” Non sei mai stata banale, in nessuna scelta. Anche la ninna nanna che mi cantavi è speciale. Una poesia di Renato Rascel.

Quando “sento freddo” e sono impaurito è a questo che penso.

Se ora hai paura, se ora hai freddo, pensa a questo. In qualche modo, da qualche parte, saremo ancora insieme

 

25/12/23

Che ne sanno gli altri. Che ne sanno di noi. Piange il bambino che ancora non capisce, li ascolta e si lascia lacerare. Grida l’uomo della scelta. Vivo insieme al dubbio che mi respira dentro. Convivo con demoni che violentano l’anima.

 

15/02/24

Come una poesia lasciata a metà, cerco  parole tra pieghe di vestiti stropicciati e sospiri di innamorati. Le cerco ovunque, perché è lì che potresti avermele lasciate. Le riconoscerò in qualche modo, per gli altri saranno solo orfani dettagli, ma per me saranno versi. Ne farò per te  magia.

 06/03/24

Di solito so usare le parole. Faccio in modo che loro scelgano me. Di solito. Ma non ora. C'è troppo caos per sentire, troppo rumore per ascoltare Sono due anni che sono bloccato in questo limbo, e nulla credo ormai cambierà. Credo che questa roba si chiami “elaborazione del lutto” e non cercherò di controllare quello che sento. Non più. Lascerò che mi attraversi e che esca come vuole lui.

Ed eccomi qui con te in cameretta. Tu che accarezzandomi mi spieghi le la vita. Carezze che sussurrano lezioni  giocando a nascondino con favole. Ed ecco che ora sono in cucina. Finalmente insieme dopo mesi. Tu con il grembiule da cuoca che mantechi una gigantesca pentola di linguine con le vongole. Veraci. Veraci come te. Era il tuo benvenuto, era il tuo amore.

Poi eccomi a tenerti la mano in ospedale. Tu che sei chissà dove e io che ti cerco. Voglio trovare ancora te in te, ma non ti vedo. Sei ancora te, ma non lo sei più.

Di nuovo indietro nel tempo. A villa borghese che mi tieni la mano sul pony. Poi eccoti ad Amsterdam con Papà. Vi vengo a prendere in aeroporto. Mentre aspetto vedo la gente che si abbraccia e piange, poi arrivate voi e tutto si unisce. Piango, ti abbraccio e mi sento a casa.

Delle volte è un sasso che mi porta giù nel mare, delle altre volte è amore che mi fa volare. Sono strattoni improvvisi, flash di irriverenti paparazzi in agguato. Mi piace pensare che quando capiti sia una specie di connessione tra dove sei tu e dove sono io. Certamente sei ancora da qualche parte. Ti sento e so che tu senti me. Siamo energia zingara.

Continuo ad agire cercando la tua approvazione. Continuo a cercarti in rubrica. Continuo a cercare di renderti orgogliosa. Sei importante, ti porto dentro con me.

 31/03/24

Facciamo che questo tempo non esista. Facciamo che non esistano regole. Facciamo che sono tornato bambino nel letto della cameretta. Te che intoni la canzoncina del cavallino dal mantello d’oro e io che riesco ancora  a vederlo. Facciamo che ci sia un appuntamento tutto nostro strappato a questo destino che d’improvviso è diventato assassino. Eccomi a te, sono un uomo ora ma ti prego canta ancora per me. Io quel cavallino lo voglio ancora vedere…

Mamma, ti devo parlare, forse lo sai già e questo momento lo stavi aspettando da ovunque tu sia ora. Forse hai sentito le mie mute grida, la notte, prima di addormentarmi. Scusa se sono stato l’uomo che mi hai insegnato a essere. Scusa se ho usato la ragione e non la pancia…proprio con te che sei al di la della mente. Scusa se mi sono trovato piccolo piccolo, impaurito ed egoista. Scusa se non sono stato abbastanza gigante al tuo cospetto.

Facciamo che mi stai guardando negli occhi ora. Facciamo che ci stiamo stringendo forte forte mentre fuori piove ancora. Facciamo che io inciampi in un'altra possibilità. Facciamo che sei a casa malata. La coperta rossa che ti tiene al caldo. Facciamo che ti tengo la mano mentre te ne vai via. Facciamo che ti canto del cavallino lungo i pascoli del cielo. Ti prego dimmi che è possibile perché non so se posso aspettare un’altra vita per farlo. Facciamo anche che mi dici che sono un cretino a pensare tutto questo casino e che sei orgogliosa delle scelte che ho fatto.

E ora che sei libera facciamo che in questo “adesso” tutto possa accadere. Fai di me ancora il bimbo a cui spiegavi la vita, accarezzami il capo chino sulle tue ginocchia, concedimi ancora una volta quell’amore incondizionato e senza giudizio che solo una mamma sa dare.

Portami via con te “lungo i pascoli del ciel...”

lunedì 18 settembre 2023

IL CASSETTO

" IL CASSETTO"



Per circa un mese avevo diretto un’orchestra fantastica, tanta melodia, niente assoli. Una sorta di "uno per tutti e tutti per uno" dei quattro moschettieri, ma con il furgone al posto del cavallo, berrettini blu al posto di pennacchi e con modi decisamente meno regali:-)

La musica suonata arrivo' a tante orecchie e chi doveva ascoltare certe note, lo fece... Non me ne resi conto subito tuttavia. I due referenti "primari" ritornarono dai loro infortuni e io finalmente ritornai nella mia confort-zone.

Come un gatto bagnato dopo un temporale ero finito in un angolo ad usciugarmi il pelo (nel senso figurato :-)) cercando un po' di calore qua e là. Ero stanco, ma orgoglioso. Pensavo ai miei genitori. Sarebbero stati fieri di me. Immaginavo lo sguardo di papa' accogliermi ad ogni giornata "portata a casa". Fantasticavo di poter raccontare tutto questo a mia madre.

Lei, la ragione di tutto ciò che sono.

Bramavo una nuova normalità' fatta delle solite chiacchierate con mamma alla fine della giornata, dei soliti discorsi, delle solite battute, delle solite raccomandazioni.

Pensavo che prima di tutto questo terremoto, ero felice e non lo sapevo.

Poi arrivo' il 17 giugno. Erano le 5 del mattino. Il Motorola G7 bianco suono' illuminando la stanza di blu. Dall'altra parte della luce blu c'era un infermiere assonnato, almeno quanto me. Mi disse semplicemente che papa' era morto. Per lui fu una telefonata. Per me fu la telefonata. Chiamai mio fratello. Ricordo di essere stato forse più' ruvido dell'infermiere."Claudio, papa' è morto". 

Parlammo silenzi.

Ero confuso, ero ferito. Fu in quell'occasione che sentii veramente di avere un fratello. Sentii il senso di avere proprio mio fratello. Lui, esattamente come il suo percorso di vita me lo aveva offerto. In quella fase della nostra vita aver trovato Claudio con un certo tipo di vissuto e con un certo tipo di visione, mi salvo' dal perdermi.

È strano e non è giusto, ma condividere quel dolore mi fece sentire meglio. La parola magica fu "insieme". Insieme provammo a far diventare razionale ciò che razionale non voleva essere. Ragionammo e andò' un po' meglio. Immaginammo papa' libero di vivere nuovamente. In cuor nostro sapevamo che era quello che papa' stesso desiderava e, in fondo, anche noi.

Mi venne in mente il suo cassetto delle meraviglie. Era nel suo negozio in via Luigi Rizzo 103. Era sotto a quel banco di lavoro in legno consumato da tempo e preoccupazioni. In quel cassetto teneva qualsiasi cosa di recupero potesse servire o non servire.

 Viti, dadi, bulloni, rondelle e ferraglia: versi di poeta artigiano; racconti ancora da scrivere per fantasie acerbe di bambini. Ero bimbo infatti quando aprivo quel cassetto e costruivo dal nulla storie, casette e improbabili accrocchi luccicanti. Adoravo quel cassetto. Lo amava anche Claudio e anche i miei figli non erano rimasti immuni a quel fascino in bianco e nero. Pensavo che ovunque fosse stato in quel momento, papa', quel cassetto, lo avrebbe avuto con lui. 

Ricordo di averlo visto in videocall il giorno prima. Le precauzioni per il contenimento del Covid non mi consentivano altro. Era in ospedale in seguito ad una caduta in casa. Aveva la barba lunga, bianca come nuvola e degli occhi dolci dolci. Non era lucido, ma quella volta notai in quegli occhi qualcosa di diverso. Mi mando' due baci accompagnandoli con la mano. E’ strano, ma in qualche modo e’ come se entrambi avessimo capito che quelli sarebbero stati gli ultimi baci che ci saremmo scambiati. Non c’e’ nulla di più’ vero di qualcosa che non riesci a spiegare... 

Intanto mamma passava da una struttura ospedaliera all’altra ed ogni giorno accusava qualche handicap in più’. Stava pian piano perdendo pezzettini di se stessa. Giorno dopo giorno mi resi conto che mia madre era morta quel maledetto 15 marzo. Era rimasto amore incondizionato e dolore. Retaggi e sensi di colpa danzavano insieme a scheletri in armadi che sarebbero dovuti rimanere chiusi.

È come se il destino stava giocando a carte con me e io non stavo vincendo. Avevo perso papa' e stavo vedendo scivolare via mamma. Ricordo la terribile sensazione d'impotenza. Ancora è qui con me, latente come il virus della varicella...subdola come un tradimento non confessato. 

Tenevo ancora duro, ma stavo barcollando come Sterling al primo gancio di Tyson. Sarebbe bastato un altro colpo bene assestato per chiudere il conto. Per fortuna non arrivo'. Almeno non in quel momento. Ad arrivare fu invece una telefonata inaspettata. Ancora una volta una telefonata cambio' le carte in tavola. La voce di Alessandro rispose al mio romano "pronto frate' che voi?" Aveva toni allegri e sentori di sfida. Sembrava un buon Chianti: corposo all'inizio, gentile e fruttato subito dopo. Alessandro, Il mio migliore amico. Alessandro, l'amico che quella volta alle quattro di mattina in discoteca rischio' di prendere le botte al posto mio. Alessandro, quello che tutte le milioni di volte che mi sono lasciato con Federica era li a sopportare deliri e follie. Alessandro quello dei 1000 "si" detti e dei "no" neanche pensati. Alessandro, quello che sul cellulare ho salvato come "Ale Frate'".

"Ale Frate'" mi fece una proposta lavorativa pazzesca…”. Mi offri' la possibilità’ di lavorare a Milano come referente primario di un servizio top delivery per la società' in cui lavorava lui. Mi proposero di avere in gestione una squadra tutta mia, formata da me e cresciuta secondo le mie idee. Insomma…carta bianca.


Wow, che fare?, Sapevo di avere bisogno della mia confort-zone, di avere l’anima squarciata, il cuore arido e un morale tutto da rattoppare, ma come si fa a non andare al tavolo da gioco sapendo di avere le carte giuste per vincere il banco? Presi le poche fiches rimaste, alzai lo sguardo e pronuncia due parole in inglese: "All-in".

Azione. Reazione: Il primo febbraio venne a prendermi! Aveva uno strano accento Milanese con sfumature romane, sembrava Boldi nei cinepanettoni… Quello fu Il mio primo giorno da referente unico, in un avventura tutta nuova. Ero a Milano e avrei lavorato affianco al mio migliore amico!
Ricordo un giorno di tanti anni fa. Io e "Ale frate'" tornavamo a piedi da scuola a casa. Pioveva, io avevo le buste ai piedi per non bagnarmi, lui neanche l'ombrello. Diceva che "era solo acqua" e che non gli sarebbe servito nessun accorgimento per non bagnarsi. Ricordo di aver riso della nostra diversità', ma ricordo di aver pensato che insieme avessimo potuto essere complementari. A distanza di anni, quella mia congettura si dimostro' attuale. Io ed "Ale frate'", due facce della stessa moneta, pronti a giocarcela insieme... La sfida che mi aspettava era enorme. Lo scopo era quello di dimostrare in maniera definitiva e assoluta che un altro modo d'intendere la leadership era possibile! Una leadership circolare e non piramidale, dove il leader è al centro del team e non al di sopra di esso, dove il leader si prende cura della sua squadra, la tutela, la protegge e la motiva. Un leader soldato. Un Soldato In trincea. 

Formai la mia squadra, puntando sulla qualità' delle persone e non necessariamente sul loro skill. Formare persone in gamba mi permise ad avere lavoratori in gamba. Alla fine di un certo tipo di percorso, l'investimento umano porto' in dote un team di qualità'. Qualità' professionali e, soprattutto, qualità' umane. Il supporto di Alessandro fu come un mantello. Mi fece sentire con le spalle coperte. Sapevo che potevo contare su di lui sempre e comunque. Come per l'esame di terza media. Ricordo che eravamo impegnati in un progetto comune sull'energia idroelettrica. Insieme in cucina di casa mia ad armeggiare su di un cartellone sempre troppo bianco. L'improbabile musica di "Radio Shanuar" in sottofondo, i mondiali Italia 90 alle porte e un esame a farci sentire martiri o eroi.

Anche in quell'occasione, mi sentii libero di osare, sicuro di avere un mantello a proteggermi le spalle. A Milano osai. Il tempo mi diede pian piano ragione! Passammo da un 82% di consegne effettuate con successo ad oltre il 99%. Ancora ricordo la sensazione di camminare a testa alta tra gli sguardi "degli altri". Eravamo magnifici e affamati. Per gestire questo tipo di leadership ero stato risucchiato nel poggetto in maniera assoluta. Dovevo essere uno psicologo, un amico, delle volte persino un padre per i miei ragazzi. Sapevo che potevo costruire tutto questo e averne avuto la conferma mi porto' esattamente dove volevo essere: tre metri sopra le teste di tutte le persone che continuavano a dire che non sarei mai stato un buon leader perché' ero troppo "poco stronzo". La partita con il fato si stava mettendo bene. Avevo molte fiches e buone carte da poter usare.

Il pugile suonato non ero più' io.

Mi capita spesso di voltarmi e pensare a come possa aver fatto a gestire un periodo cosi' difficile. Poi penso al cassetto di mio padre. È li che devo aver trovato qualcosa che probabilmente ho conservato senza un perché' e che ho usato per resistere. Per diventare uomo. 

Mi piace pensare che non sia stato un caso. Mi piace pensare che papa' in quel cassetto, certe cose, ce le abbia messe di proposito.


domenica 22 gennaio 2023

LA TEMPESTA PERFETTA



 LA TEMPESTA PERFETTA



Non sai come e quando ti venga a cercare, ma prima o poi succede. Poco importa se abbia le sembianze della Dea bendata o sia avvolta da mantello di notte senza stelle. Certi appuntamenti non li hai presi te; nascono da qualche parte e da te vengono a morire.

Nonna Lucia mi diceva di cambiarmi le mutande ogni volta che uscivo. Diceva che non si sa mai cosa poteva succedere e che, se fossi andato a finire in ospedale, comunque avrei fatto una bella figura con delle mutande pulite! Fa ridere ‘sta roba, ma la morale e’ che non si sa mai che ti possa succedere… E’ importante farsi trovare pronti e… puliti 😅

Il percorso da vice-referente “diverso” stava prendendo forma. Temevo che essere gentile, garbato e disponibile poteva essere tradotto in debolezza, ma erravo. Stavo sottovalutando il cuore di coloro che avevo accanto. Anche le persone più “ruvide” si lasciarono sciogliere come neve al sole. Raggi di luce, rispetto ed educazione pervasero le loro gelide corazze perlopiù difensive.

Seminai valori uomini e raccolsi uomini di valore.

Questo mi aiuto’ nella gestione di quello che definisco “la tempesta perfetta”.

Il 15 marzo 2021 venne a bussare alla mia porta. Si presento’ come un giorno normale quasi ignaro che sarebbe diventato il mio 11 settembre. Intorno alle 14:00 la pressione sanguigna massima di mia madre balzo' oltre i 240 e qualcosa nel suo cervello non seppe reggere. Fu emorragia interna. Tutto quello che era racchiuso nel suo scrigno magico venne compromesso. Come in Titanic, il mare passo' inesorabile paratie, scompartimenti, pensieri, emozioni, ricordi e coscienza.

La stessa notte, mi ritrovai a Roma insieme a mio fratello e mia zia con mia madre in ospedale e mio padre da tempo invalido e con la mente in un mondo di cui solo lui possedeva le chiavi.


Non sapevamo nulla di come prenderci cura di lui, quali medicine prendesse ne tanto meno di quali cure avesse bisogno e l’unica persona in grado di aiutarci stava aggrappata ad una zattera nel mare gelido, guardando un tunnel con la luce da una parte e le voci dei dottori in sala operatoria dall’altra.

Fui costretto a diventare il padre dei miei genitori.

Tutto quello che mi avevano insegnato irruppe violento nel mio destino. Cercai da qualche parte una cabina del telefono, vi entrai e strappando la camicia di adolescente cresciuto, fui costretto a trasformarmi in un uomo. Da Clark Kent divenni Superman.

Imparai il vero significato di “problem solving”. Nel senso che, se non avessimo avuto la capacita’ di risolvere la situazione bene e immediatamente, mio padre sarebbe morto. Mia madre in mano ai dottori, mio padre in mano a noi.

Tick tack, tick, tack...reagisci, agisci, decidi. Cercammo tutti un Dio che pregammo e maledimmo. Il libero arbitrio, il caso, il destino... tre aspetti che vorticosamente presero in ostaggio le menti in un mulinello di consapevolezza e fede delle volte al contrario.

Ci mettemmo circa un mese, ognuno facendo la sua parte, ma portammo a casa un risultato incredibile.

Rovistammo in ogni cassetto dei miei nuovi figli e, per la prima volta in vita mia, benedissi la precisione maniacale di mia madre. Trovammo appunti dettagliati su qualsiasi cosa. Tutto era dove era logico che fosse.

Contattammo tutti i dottori trovati nell’agenda magica di mia madre, venimmo a capo di qualcosa come un piano di venti medicinali al giorno, tutti in orari collegati tra loro, gestiti da ben tre piani terapeutici divisi in tre strutture mediche diverse. Capimmo realmente cio' che mamma stava facendo per mio padre. Si era completamente annientata per assisterlo. Rabbia e ammirazione pervasero i nostri cuori. Dove era il confine tra essere cristiani, tra amare fino alla morte e il rispetto della vita stessa che Dio ha fatto in modo ci arrivasse? Un fiume con due emozioni come sponde:

quello ero io.

Per gestire mio padre fu necessario ingaggiare tre moschettieri. Hector, Giulia ed Allyson, rispettivamente badante h24, segretaria gestionale dei piani terapeutici e assistente alle pulizie di casa.

Passammo un mese nella tempesta. Mamma entrava ed usciva dalla terapia intensiva. Passava da un viaggio di sola andata con Beatrice e Dante ad uno di ritorno con Adriana di Rocky. Quando i dottori ci dicevano che forse ce l'avrebbe fatta, immaginavo il suo risveglio come nella mia scena preferita dell'intera saga di Rocky. Quella in cui Adriana si sveglia dal coma, guarda Rocky e gli dice che vorrebbe che lui facesse una cosa per lei. Gli dice "Vinci"...

Anche Dana, Iulia ed Alex vennero nella tempesta con me. Proprio accanto a me. A Roma. Ognuno fece la sua parte, anche non sapendolo.

Dopo un po' il maltempo sembro' placarsi. Hector fu istruito a dovere, I piani terapeutici erano sotto controllo e la pulizia di casa era garantita. Mamma ancora lottava guerre di silenzi, ma in quelle battaglie avevamo un ruolo da spettatori e non da attori al momento. Eravamo nelle mani dei dottori che a loro volta erano nelle mani di Dio.

Dopo circa quattro settimane, fui quindi in grado di tornare dai “miei” ragazzi a lavoro. Dopo quello che avevo passato, quello che mi sembrava un lavoro complicato assunse connotazioni molto più rassicuranti… In fondo cosa altro poteva capitarmi di più difficile?

Detto fatto. Il referente primario si infortuno’ ed il suo vice si ammalo’.

Simultaneamente.

In pratica, mi ritrovai da terzo referente/jolly a referente unico di circa 75 persone, con un padre malato lontano 600km e una madre in coma.

Sembrava di essere come in un film, anzi mi sentivo parte di un trailer, dove tutti gli avvenimenti si susseguono velocemente tra musiche ad effetto e primi piani ammiccanti.

Il film vero e proprio sarebbe uscito molto presto nelle sale...

Era la resa dei conti. Il tempo per le domande era finito.

Il mio modo di concepire la leadership avrebbe funzionato o sarei stato mangiato?

Nessuno dei miei superiori credeva pienamente che io fossi pronto a gestire la situazione e questo mi diede quel boost che fece la differenza.

Quello che non ti annienta ti fortifica.

I ragazzi e me da quel momento fummo una sola cosa. Qualcosa di magico era nell’aria. Tutto funziono’ alla perfezione. Loro colmarono le lacune logistiche che ovviamente ancora avevo, e io gli davo l’anima in cambio. Fu una guerra in trincea senza esclusioni di colpi; un solo "noi" contro tutto e tutti, sempre dividendo a meta’ il cuore con l’incubo che stavamo vivendo insieme a tutta la mia famiglia.

Ricordo che gli unici momenti di pace li trovavo la sera, tra le carezze di mia moglie, accovacciato in grembo su di lei.

Figlio di mia moglie e padre dei miei genitori.

sabato 19 novembre 2022

MANI SPORCHE

 



Mani sporche.

Spesso mi sono ritrovato a guardare mani. Le mie e quelle degli altri.

Le mani narrano storie senza voce.

Io detesto avere mani sporche. Lo detesto.

Eppure in questi tre anni le mani sporche mi hanno portato al DOVE sono in questo momento, e soprattutto al COME sono in questo momento e, dannazione, ne sono fiero!

Ricordi, molliche di vita su tavola sempre e, nonostante tutto, bianca.

Flash di questo incredibile periodo mi vengono a cercare e oggi ho deciso di farmi trovare.

Essere Corriere ha rappresentato una nuova sfida, l’ennesima. Ricordo che non sapevo nemmeno guidare un furgone. Non conoscevo il territorio ne il mestiere.


Io e le mie mani pulite spesso in guanti bianchi, ci siamo ritrovati davanti ad una realtà ruvida, fottutamente pratica e spietata.

Il mio essere "Hilton" doveva radicalmente cambiare.

Niente più giri di parole, falsi servilismi. Nella logistica tutto è diretto, veloce e pragmatico, come un buon Amarone: niente scorciatoie... lo assapori e il tannino ti porta dove vuole lui.

Delle volte, tuttavia, capita che il fato ti serva sapori diversi ed è questo, anche se raro, che in realtà ha fatto la differenza nella mia esperienza.

Ricordo quella volta che, per consegnare uno stendino in un posto dimenticato da Dio, chiesi delle indicazioni ad un operaio che stava scavando con la ruspa. C'erano quaranta gradi, il suo viso era nascosto tra rughe nere come la notte. Quando l'ho distolto dal suo lavoro mi è parso di averlo quasi svegliato da una specie di torpore figlio di malinconia, sogni a metà e sudore. Mi ascolto', si rese conto che per raggiungere il posto che cercavo avrei dovuto cercare un paio di monete da dare a Caronte perché, con quel caldo e con tutta quella strada in salita da fare, è nell'inferno che sarei dovuto scendere...

Cosi, smise di scavare e porto' la pala meccanica fino a me. La cosa era talmente inverosimile che funziono'. Lo stendino ed io entrammo nella "grossa mano di ferro" e insieme raggiungemmo la destinazione della signora dai panni bagnati in mano grazie al passaggio più bello di cui mai ho goduto. La logistica è cosi'. Sporca e faticosa, ma con delle sfumature di vita vissuta, di vita dal sapore vero che ti fanno sorridere, che ti aprono il cuore e sanno cambiare da salato a dolce il sapore di sudore che invadente bacia labbra aride.

Ricordo quella volta in quel buio pomeriggio di dicembre in cui mi trovai nel bosco, con la neve, per una delivery presso una baita. Dopo aver orgogliosamente consegnato, credo una stufa elettrica a quella che mi piace pensare essere stata la nonna di Cappuccetto Rosso (prima di aver incontrato il lupo) mi resi conto che non avrei mai trovato un piazzale in cui fare manovra per tornare indietro. Fui costretto ad una retromarcia di quaranta minuti in un sentiero innevato, scosceso e pericoloso come le labbra al rossetto rosso di Lolita. Anche Vodafone mi aveva abbandonato lasciando il mio fedele motorola G7 muto e stordito come un bambino in castigo. Ero solo, con un Mercedes Vito a trazione posteriore (oltretutto!) in mezzo al nulla, procedendo al contrario avendo come unici riferimenti gli specchietti laterali e il bianco della neve che rifletteva la luce della retromarcia.

Ricordo che pensai che potessi fare la fine di Paul Sheldon in "Misery non deve morire", ma poi realizzai che non ero affatto uno scrittore famoso e questa cosa, per una volta tanto, mi sollevo'...

Vito ed io, dopo quasi un ora di sospiri, manovre e sguardi complici tra gli specchietti, arrivammo sani e salvi sulla strada principale. Ricordo che scesi dal fedele Benz e mi inginocchiai nella neve mentre le quattro frecce accese lampeggiavano intermittenti tra emozioni finalmente calde.

 

Ricordo quella vota che Giulia, una bambina di circa sei anni, mi accolse come un eroe perché le avevo portato il suo regalo di compleanno… una fiammante bici di Barbie rosa.

Era li ad aspettarmi, con il viso contro il cancello a rete. Quando mi vide, si girò verso la mamma e la chiamò con tutto il fiato che aveva in corpo. Quel bel visino bimbo e paffutello ancora aveva i segni del cancello che la teneva prigioniera fino ad un attimo prima. Ancora lo ricordo, ancora sento i brividi rincorrersi sulla pelle d'oca.

In quel momento non ero un corriere. In quel momento ero un supereroe, ero un padre di una figlia che forse in un altra vita sarà la mia, ero un Babbo Natale vestito dei colori del cielo!

 Ero al centro del mondo.

Ricordo una Coca Cola regalatami dalla signora Maria, ad Agosto. C’erano quarantadue gradi, le ho consegnato un’aspirapolvere e lei, insieme ad uno sguardo da nonna… mi ha regalato quella bibita fresca che mi ha dissetato fin dentro l’anima.

Ricordo di quella volta che accettai di aspettare più di dieci minuti per un contrassegno semplicemente perché il cliente dai capelli bianchi e le buone maniere me lo chiese gentilmente. Quella gentilezza di altri tempi. Se fosse stata musica, sarebbe stata quella di un violino. A me il violino piace. Mi porta via con se in vecchi film in bianco e nero da vedere di notte, quando tutto va più piano.

 E poi ci sono loro. I ricordi dei colleghi...

Quando fai un lavoro prettamente fisico, faticoso e a volte rischioso, se qualcuno ti aiuta, ha un altro “peso”. Quando una mano sporca e stanca viene tesa per aiutare la tua, ebbene quel connubio diventa indissolubile.

Due mani stanche si stringono più forte.

Ovviamente ho stretto anche mani false, mani meschine e mani grandi grandi di uomini piccoli piccoli. Questo fa parte del gioco, di qualsiasi gioco. La cosa un pò speciale di questa storia però è che non riesco a portare rancore. Anzi.

Questa esperienza mi ha fatto benissimo. Sono diventato un incassatore. Ho imparato a lasciare andare. Ho imparato a perdonare perché è solo lasciando andare le zavorre che si è liberi di volare via.

Sudore, fatica, crampi a gambe mai allenate abbastanza, brividi di freddo, tepori di amicizie vere, sorrisi di bambini... Questo è quello di cui è fatto questo lavoro. Poi c’è il rispetto, quello vero. Quello che in certi ambienti, se lo guadagni, non lo perdi più.


lunedì 14 novembre 2022

L' UNICORNO

 


L' UNICORNO





Era il 4 maggio 2020.

Il lavoro sembrava semplice. Dovevo consegnare dei pacchi a delle persone. Lo dovevo fare velocemente e volevo farlo dannatamente bene. Dovevo imparare luoghi sconosciuti e dovevo imparare a cavalcare un destriero a quattro ruote, grande. Molto grande. Non ne sapevo nulla, ma sapevo che avrei imparato, sbagliato e imparato nuovamente, cosi fino al "vissero felici e contenti" dei racconti letti ai bimbi prima del bacio della buona notte.

Come ogni bella favola che si rispetti pero' andava scritta nella maniera giusta.

Decisi che avrei consegnato quei pacchi come se fosse stata una missione di vita. Decisi che avrei empatizzato con i miei “clienti” anche se solo per pochi secondi ognuno. Decisi che per loro non sarei stato solo un corriere, ma prima di tutto, sarei stato Daniele…il loro strano Babbo Natale vestito di blu, dall’accento romano, lo sguardo spaesato e il cuore grande.

Spesso un corriere molto bravo viene definito un cavallo. Non ho nulla contro i cavalli, ma perché essere cavallo quando si può essere unicorno? Trovare magia, metterci l’anima anche facendo un’azione banale come consegnare un pacco. Questo fu il mio obbiettivo. Gentilezza, empatia, responsabilità’, pazienza… impegno, perseveranza, gioia, sorrisi veri o veramente finti. Tutto questo mi rese uno strano corriere. Non velocissimo, ma preciso, mai banale e soprattutto coerente con il mio essere. Decisi di essere in armonia con me stesso nei limiti del buon senso ovviamente. Delle volte la gentilezza venne scambiata per debolezza e in quel caso trovai nel compromesso una risposta infallibile. Il compromesso e’ un'arte e come tale, delle volte, bisogna sapere su quale palco portarla in scena.

Essere un diverso, inevitabilmente mi pose in una condizione visibile. Nel bene e nel male.

Il mio responsabile, mi vide. Mi vide sul serio e insieme creammo una strana connessione. Lui aiutava me ed io lui. Esperienza e pragmaticità in cambio di umiltà, perseveranza e polvere di stelle.

Una nuova realtà si paleso'. Ero entrato a far parte di una strana squadra operativa composta dal mio bizzarro responsabile e il suo vice. Quest'ultimo si dimostro' una fantastica sfida. Apparentemente risulto' un tipo con un carattere impossibile. Chiuso e riservato al limite della maleducazione, ma fin dalla prima stretta di mano ebbi l'intuizione che le cose non erano proprio come sembravano. Pian piano mi resi conto di essere davanti ad una miniera d'oro. In certi casi, bisogna dover scavare, sudare e sporcarsi per raggiungere qualcosa di prezioso... ma poi, l'oro è li... dove bisogna solo saperlo cercare.

Eravamo tre persone diverse, ma complementari. Poteva funzionare e infatti funziono'... anche perché due occhi di cerbiatto vegliavano sempre su di noi. Erano quelli della nostra dolcissima ragazza addetta all'amministrazione. Tre ragazzacci e una giovanissima perla rara..."what else?"

Potevo o avrei dovuto fotocopiarmi al modo di fare di ognuno di loro percorrendo semplicemente un solco già ben impresso in un campo ben seminato,  ma non lo feci.

Non perché non abbia approvato certi modi di fare, anzi, fino a prova contraria funzionavano e il mio rispetto fu incondizionato, ma perché era venuto il momento di provare ad essere quel leader che avrei sempre voluto avere...

Mi comportai come Daniele.

Daniele, quello dalle buone maniere, quello che da fiducia fino a prova contraria. Quello che se può aiuta e se non può fa in modo di aiutare comunque. Quello che condivide, che crea motivazione. La mia missione fu quella di fare in modo che il team lavorasse con me e non per me. Che mi seguisse e che mi rispettasse per loro volere e non per loro dovere. Suonava un po’ utopico, ma tutto ciò che poi si avvera prima risuona note di utopia.

Cos’e'  un’utopia se non un sogno che alla fine non ce l’ha fatta?


Questa fu la mia nuova sfida. Saper portare sorrisi, gentilezza, motivazione e magia in un regno (non ancora) incantato.

E' mattina ormai, il mio “vissero felici e contenti” non è stato ancora scritto del tutto.

Ci sto lavorando ma promettere bene... Mi sembra di vederlo, in quell'angolo celato tra ombre di cose che non sono, ma saranno. Ha le braccia conserte e il broncio di quello che aspetta da un bel po'.

Come un vecchio giocattolo impolverato, lo abbraccio forte forte. Con lui mi dimeno in quest'alba tra anime di chi non c’e’ più’, baci di regina e cuori genitori.